La maggior parte di noi ha avuto un Mentore, a scuola o nello sport, al lavoro o in politica, nel volontariato, in un hobby o interesse culturale. Spesso questa presenza ha fatto la differenza: ci siamo fermati e consolidati in quell’associazione, scelto quella materia come area di specializzazione, appassionati a quello sport o hobby, ci siamo inseriti con successo in quell’ambiente di lavoro.
Cos’è un mentore
Il Mentore è l’equivalente organizzativo di uno zio o un cugino più vecchio, svolgendo un ruolo che nella nostra società liquida non è più fornito dalla famiglia allargata. La flessibilità come stile di vita, la mobilità geografica, l’aumento dell’insicurezza sociale ed economica, l’impossibilità di pianificare il futuro e di leggere l’evolversi della società, tutto concorre a farci cercare figure di riferimento con cui stabilire un legame speciale. Figure diverse dal capo, dal coach, dall’insegnante, dal terapeuta, che hanno i loro ambiti precisi.
La parola Mentore viene dal nome dell’amico a cui Ulisse affida il figlio Telemaco, quando parte per la guerra di Troia. I moderni Telemaco vengono chiamati Mentee, oppure Protégé oppure Pupillo.
Che cosa fa il Mentore?
- non insegna, ma spiega
- non si mette in competizione, ma in supporto
- esprime una valutazione solo per favorire lo sviluppo
- finalizza le esperienze (di lavoro, di sport, in politica, in associazione, ecc.) in un disegno più ampio, mettendole in prospettiva
- aiuta a evitare trappole e insidie dell’organizzazione
- rappresenta una possibile meta, un esempio concreto di traguardo professionale e del modo di ricoprirlo
- fornisce un possibile modello di comportamento, alternativo a quello del capo: da come si entra in una riunione a come si esce da un negoziato, a come si gestisce l’ambiguità
- razionalizza a posteriori le esperienze, fornendo la teoria o almeno la spiegazione, con un approccio empirico dal particolare al generale
- contribuisce a motivare
- aiuta a tentare altre strade, o ritrovare qualcosa che si è perduto
- valorizza aspetti del Mentee che non hanno ancora avuto modo di emergere
- aiuta il Mentee ad aiutare se stesso, in una logica coevolutiva e di self-coaching
- fa vedere ciò che è possibile, le potenzialità di realizzazione
- introduce all’etica della professione
- impedisce che vada perso qualcosa di importante, che sia dono, talento, esperienza, tempo
- favorisce il confronto con la realtà -dato che la conosce bene- e non solo con le percezioni del Pupillo, come farebbe un coach.
Come funziona la relazione di Mentoring
Un rapporto Mentore-Mentee si può stabilire per caso, per una corrispondenza di interessi e di simpatia. Il significato dello scambio è che il Mentee trova una guida e un consigliere, e il Mentore trova qualcuno a cui trasmettere la propria esperienza, entrambi costruiscono il filo del significato che lega le generazioni professionali e l’evoluzione del know-how.
In alcune organizzazioni il Mentoring è un fatto pianificato. Ogni giovane che entra viene affidato ad una persona più vecchia di lui per età e per esperienza, che ha un percorso professionale e di studi simile, e assolutamente non è il capo gerarchico (cfr coaching e mentoring in Panasonic Italia).
Gli incontri possono essere pianificati come nel Coaching, oppure casuali quando la relazione non è strutturata, oppure un mix tipo 2 o 3 incontri fissati l’anno e il resto in funzione delle esigenze.