Tutti abbiamo avuto un coach. Qualcuno che ci ha aperto una strada, fatto appassionare a uno sport o una disciplina, fatto intravvedere qualcosa che non avevamo ancora messo a fuoco, aiutato a svoltare, stimolato a tirare fuori un’energia diversa o un dono di cui non eravamo consapevoli. Qualcuno che ci ha guardato in faccia e ha acceso una scintilla. O qualcuno che abbiamo guardato meglio dopo che ci ha fatto scoprire qualcosa di noi stessi. Qualcuno di cui ci ricordiamo ancora, e magari sono passati degli anni.
Chi è stato il tuo? prova a rispondere prima di continuare a leggere. A rispondere per davvero, con un nome.
La maggior parte delle persone dice che si è trattato di un insegnante -a scuola o nello sport o in politica- di una persona di famiglia -genitore o nonno o zio. Molti rispondono che è stato un capo gerarchico o un collega. Tutti descrivono qualcuno che si è comportato con generosità, che ha dato molto più di quello che ha ricevuto. Che si è speso personalmente, che ha donato il suo tempo e la sua attenzione senza stare a conteggiare.
Come tutti gli altri, anche tu provi un sentimento di riconoscenza, quasi di commozione, pensando all’importanza che questo incontro ha avuto per te, vero? Perché ti ha allargato la percezione, ti ha regalato un pezzo di te che fino a quel momento non vedevi.
Se è così, vale davvero la pena di essere il coach di qualcun altro! E di provare a fare il capo lasciando una traccia, e non solo fornendo una serie di istruzioni per arrivare a un risultato.
E se sei un coach, prova a fare fare questo esercizio al tuo coachee, per fare emergere i suoi modelli di riferimento e renderlo consapevole di ciò che ha ricevuto; e per differenza di ciò che vorrebbe acquisire ancora.