Molti anni fa mi trovai ad attraversare un periodo particolarmente doloroso della mia vita, dove problemi di salute originavano ed intrecciavano situazioni di sofferenza interiore. Mi sentivo bloccato ed avevo la sensazione che i miei sforzi, per quanto mi impegnassi, non producessero gli effetti desiderati. Anzi, non ne producessero affatto.
Mi venne in mente di iniziare a tenere un diario, come fosse un luogo dello spirito dove sfogare i pensieri che vagavano dispersi dentro di me. Pensai che potesse essere un modo per confidare le cose che sentivo la necessità di confidare, ma per le quali non trovavo orecchie. La cosa funzionò più di quanto sperassi: quel coacervo di cose inespresse che mi portavo dentro aveva finalmente uno spazio per esprimersi ed ordinarsi in flussi via via sempre più ordinati e chiari.
Man mano che procedevo nell’uso del diario, mi resi conto che le cose scritte possono essere lette e rilette mille volte. Al contrario di quelle dette. Può sembrare banale, ma non lo è. Si può toccare con mano il cambiamento in corso dentro di noi, così come si può prendere coscienza di essere intrappolati in una visione del mondo che ci provoca sofferenza. Inoltre scrivere a mano con la penna, e non digitando tasti al computer, fa sì che la mente assimili maggiormente quello che essa stessa sta producendo in quei momenti. Crediamo di essere dei monoliti e invece in noi si agitano mille anime, e lo scrivere ci rende coscienti di ciò, permette a questa comunità interiore di manifestarsi e conoscersi.
Piano piano ho appreso ad usare il diario in altri modi, fino a farlo diventare uno strumento per il cammino della mia vita. Posso, ad esempio:
- usarlo per fare il punto della situazione che sto attraversando,
- discutere con le pagine per fare uscire gli schemi che guidano i miei comportamenti,
- progettare azioni e verificarne la realizzazione.
Ma il diario richiede qualcosa per funzionare veramente.
Vuole il nostro cuore.
Non possiamo usare le pagine come un foglio di progettazione, non è un work in progress da analizzare, ma un luogo dello spirito. Quando mi siedo e apro il diario su una nuova pagina, una pagina bianca, è tutto me stesso che metto in moto, che metto in gioco. Mentire a se stessi è il modo più feroce di mentire, non avere fiducia in se stessi è la sfiducia suprema. Il diario puo’ essere usato come traccia per seguire un percorso di disciplina (respiro, yoga, counseling, coaching o altro) e verificare il nostro andamento. Ma anche sostenere il nostro impegno nel tempo.
Avere fiducia in se stessi non vuol dire credere che riusciremo in ogni caso, lasciamo queste cose ai santoni mediatici del tu puoi farcela. Avere fiducia in se stessi vuol dire che metterò me stesso in quello che faccio anche se non so dove mi porterà, non so se sia la cosa giusta da fare, ma qualcosa va fatto. E se mi renderò conto che il percorso non mi porta dove dovrebbe, ho fiducia che avrò l’onestà di cambiare direzione, non mi attaccherò ad essa come un’edera, ma cercherò la mia Via.
I diari sono là, nero su bianco, a testimoniare i nostri pensieri, paure e sensazioni. Ci permetteranno, a distanza di chissà quanto tempo, di scoprire che eravamo già arrivati a certe conclusioni tanto tempo fa; e poi, per motivi che si intrecciano nel nostro cuore, abbiamo rimosso tutto, tutto dimenticato. Il diario ci sosterrà e ci ricorderà quanto abbiamo deciso, i nostri progetti, e ci chiederà silenziosamente: “a che punto sei?” E sarà il maestro più esigente, perché sa che cosa passa nella nostra mente.
Sarà anche il più amorevole, perchè quell’occhio attento siamo noi, e solo noi possiamo essere così vicini a noi stessi da annullare ogni barriera.
L’immagine è un affresco di Vincenzo Foppa per il Banco Mediceo di Milano, secolo XV.