“Il pesce non si accorge di nuotare nell’acqua”.
Recita più o meno così un modo di dire americano che mi ha sempre molto colpito.
Anche noi, immersi in un cambiamento che non ha precedenti nella storia dell’essere umano, fatichiamo a renderci conto, del cambiamento di paradigma derivato da una digitalizzazione tanto veloce quanto capace di modificare in modo radicale il nostro comportamento, il nostro pensiero, il nostro vivere e lavorare insieme.
E allora:
- Quali sono le caratteristiche dei giovani che sono stati assunti nelle aziende in questi ultimi anni?
- Quali quelle dei prossimi neoassunti?
- Come sono cambiati i quarantenni che pure non sono nati nell’era digitale, ma che ne sono stati contagiati?
- Com’è il rapporto tra queste generazioni e quelle dei sessantenni, che anziché andare in pensione continuano a lavorare, spesso loro malgrado, in azienda?
Sarà bene porsi queste domande, perché nei team di lavoro e nelle aziende c’è molto bisogno di qualcuno che trovi risposte nuove al tema di queste differenze generazionali, che vanno al di là del tema dell’ageing.
Non appartengo alla ridotta ma agguerrita categoria dei detrattori del digitale e, anzi, ne apprezzo l’utilità. Credo tuttavia che sia arrivato il momento di fermarci qualche minuto per valutare le conseguenze, nella nostra vita privata ma anche nelle aziende, di questi cambiamenti che, in fondo, sarebbero già sotto gli occhi di tutti.
Qualche riflessione per iniziare:
- I fruitori del digitale sono fondamentalmente individui isolati. Niente a che vedere con la folla, che ha caratteristiche diverse da quelle dei singoli che la compongono. Nella folla i singoli si fondono in una nuova unità, all’interno della quale non dispongono più di un proprio profilo. Nel mondo digitale invece non esiste un “Noi” ma tanti “io” tutt’altro che anonimi. Ciascuno ha infatti un suo profilo e solitamente dedica molto tempo a renderlo sempre più completo ed aggiornato.
- Gli abitanti della rete digitale difficilmente si riuniscono. Sono fondamentalmente, come si diceva prima. individui isolati, che siedono da soli davanti al proprio monitor ed i flash mob, con la loro fugacità ed instabilità non fanno che confermare questa caratteristica dell’homo digitalis.
- Le comunicazioni digitali sono orizzontali. Non vi è alcun intermediario e ciascuno produce e diffonde informazioni. La rappresentanza funziona molto spesso come un filtro positivo ma, nel mondo digitale, non c’è spazio per mediatori.
- La rete rende ogni informazione, anche quelle tradizionalmente appartenenti alla sfera privata, di pubblico dominio (chi fa recruiting nelle aziende lo sa molto bene!). Conseguenza: la trasparenza è dominata dalla presenza e dal presente. Le donne e gli uomini dell’era digitale sono appiattiti sul presente. In questo senso la programmazione lenta e a lungo termine ma anche quelle forma comportamentali che richiedono ampiezza temporale o lungimiranza sono distanti dalla sensibilità dell’homo digitalis, schiacciato dal primato assoluto del presente (e che spazio hanno, in questo contesto, l’impegno e la responsabilità?).
- La comunicazione digitale è efficiente e comoda (ma quanto è efficace se nella comunicazione la componente verbale è fortemente limitata?): per questa ragione il contatto diretto con le persone reali (e, a volte, con il Reale!) è percepito a volte come un fastidio se non addirittura come un ostacolo.
- Il termine “digitale” deriva dal latino digitus cioè dito che spesso è impegnato nel contare. Il mondo digitale effettivamente si focalizza sul contare. Gli amici in Facebook vengono contati, le simpatie si contano attraverso i “mi piace”. Tutto viene trasformato in qualcosa di contabile, ciò che non si può contare perde di significato.
Il tema non è approvare/disapprovare!
Ma capire e gestire le conseguenze, per esempio dello schiacciamento sul presente o della focalizzazione sul contare. Conseguenze nella gestione HR delle imprese, nell’educazione dei figli, nell’impostazione delle relazioni personali.
Per alcuni approfondimenti sul tema consiglio vivamente la lettura del recente libro del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, cui mi sono ispirato: “Nello sciame: visioni del digitale”, pubblicato in italiano nel 2015 a Milano per i tipi della “Edizioni Nottetempo”.