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Si parla sempre più spesso di burn-out in termini lavorativi, ma questo è un fenomeno che colpisce anche i giovani studenti. Di cosa si tratta?
Credo che sia una preziosa occasione quella che stiamo creando insieme parlando di questo tema tanto diffuso quanto poco osservato e studiato in chiave sistemica; questo fenomeno infatti, non è slegato da quello molto più seguito e documentato dei Neet, dall’acronimo inglese <not in education, employment or training>, dunque quello dei giovani che sono inattivi o sdraiati[1].
Ma andiamo con ordine e prendiamoci il tempo per soffermarci su ogni tematica senza avere fretta. Questo ci permetterà alla fine di comprendere come i preoccupanti fenomeni sopra citati non solo siano entrambi correlati, ma abbiano in molti casi la stessa piattaforma di partenza, e una possibile soluzione nel coaching scolastico. Come saprai il termine burnout nasce negli Stati Uniti alla fine dello scorso millennio, per identificare un insieme di disturbi psichici, derivati da situazioni di eccessivo stress, individuabili nei lavoratori impegnati nelle professioni cliniche e di aiuto.
Successivamente, con l’aumento degli studi e delle ricerche, negli Stati Uniti così come in Italia e in Europa, si è identificata con sindrome di burnout ogni situazione di disagio psichico dovuta ad uno stress lavorativo eccessivo, estendendo tale terminologia al campo di tutte le professioni. Fu Cristina Maslach, psicologa e sociologa dell’università di Berkeley, in California, a proporre per prima un modello per evidenziare i sintomi e i disturbi psichici attribuibili a tale sindrome.
Vuoi sapere quali sono? Te li elenco brevemente:
- esaurimento emotivo ovvero sentimento di stanchezza e di svuotamento di ogni tipo di energia fisica e psichica;
- depersonalizzazione ovvero perdita di ogni atteggiamento positivo verso sé stessi, verso il mondo e verso gli altri;
- mancanza di realizzazione professionale ovvero sentimenti di frustrazione, rabbia, calo di autostima e desiderio di cambiare o di abbandonare il lavoro.
Mi domandi cosa ha a che fare tutto questo con la vita dei nostri studenti universitari?
Prova a rileggere i tre punti del modello della Maslach pensando proprio a loro. Non ti sembra di riuscire a cogliere alcune analogie di comportamento?
- quali sono le problematiche riscontrate dai giovani che accedono al mondo universitario? Quali sono le cause?
- quali sono le conseguenze per gli studenti?
- qual è l’impatto sulle famiglie?
A comprendere come il burnout possa investire anche la vita degli studenti universitari, ci aiuta Enrico Montanari[2]. “Oggi infatti con il termine Burnout identifichiamo una situazione in cui non si riesce ad affrontare lo stress, cosa che può avvenire in un campo dove si hanno molteplici responsabilità, ma anche quando ci si prefigge obiettivi troppo alti da raggiungere o quando si entra in crisi lungo il percorso verso il traguardo”.
Questa appena descritta è la situazione in cui non di rado possono trovarsi i nostri giovani, specialmente quelli iscritti al primo o al secondo anno di università. Perché mai dico questo? Provo a spiegarmi meglio.
La mia è una osservazione sul campo iniziata circa dieci anni fa, insieme alla mia professione di coach. Molti studenti si sono negli ultimi dieci anni rivolti a me, spinti dall’esigenza di trovare una soluzione al loro blocco negli studi; non di rado sono stati i loro genitori a farlo, mossi dalla frustrazione e dall’impossibilità di sostenere a lungo una situazione economicamente e psicologicamente difficile: un figlio iscritto all’università che non sostiene più gli esami, non segue più le lezioni, non riesce a stare dietro agli appelli e al contempo non vuole modificare la sua situazione aprendosi all’aiuto, presenta ai genitori un prezzo altissimo da pagare in termini di economia vera e di economia psichica. Il giovane stesso in questa situazione di burnout inconsapevole e non diagnosticato, è portatore di una grandissima sofferenza psichica. Perché un soggetto giovane che studia dovrebbe correre il rischio del burnout?
Le motivazioni possono essere diverse; molto spesso sono annodate in modo insolubile con problematiche di fatica psicologica pregresse e affondano le loro radici nel terreno della nostra attuale cultura educativa e sociale[3]. I nostri giovani, fin troppo tutelati e protetti, sono poco avvezzi alla gestione prolungata delle fatiche e degli impegni; nativi digitali, hanno maturato deficit di attenzione e incapacità di tenuta della concentrazione.[4] Il carico di impegni e la gestione dei ritmi di studio, presentano al giovane studente appena uscito dal liceo un conto troppo alto da pagare in termini di tempo, di capacità organizzativa, di gestione dello stress e di risoluzione di problemi complessi. Inconsapevoli delle proprie scelte e delle proprie reali motivazioni e inclinazioni, carenti nella gestione organizzata del tempo e degli spazi, fanno fatica ad organizzare lo studio, a programmarsi gli esami, a conciliare le esigenze di vita e di svago con il ritmo e la cadenza delle lezioni. Si approcciano agli studi universitari, con quella velata onnipotenza di chi crede di sapere già tutto o molto, lievitati sotto l’egida di una immagine di sé stessi, se non del tutto ideale, quanto meno enormemente distante dalle istanze reali. Le basi sulle quali si fonda la loro forza, la loro energia e la loro motivazione sono dunque molto fragili; non sanno bene cosa vogliono dagli studi, spesso non hanno una idea, nemmeno vaga di cosa vorrebbero diventare o di dove potrebbero arrivare. Davanti alle prime difficoltà e ai primi esami non passati, quella che è una crisi esistenziale rintracciata già da tempo nei nostri giovani[5], si erge davanti a loro con forza, travolgendoli fino a paralizzarli, conducendoli in uno stato di stagnazione e immobilità che aumenta la spirale di demotivazione, di esaurimento emotivo e di allontanamento dallo studio. Non ti ritrovi forse con il modello della Maslach?
Accade che non riescono più a studiare, ma non sanno come ripartire. Non proseguono negli studi ma non scelgono di ri-orientare il loro percorso. Il burnout, appunto.
Provo a darti qualche dettaglio in più: in America, negli ultimi anni è stata riconosciuta questa sindrome anche negli studenti universitari, i quali hanno permessi speciali per poter stare a casa e soprattutto a riposo. Il malessere è stato riconosciuto anche dall’OMS ed è sempre più drammaticamente diffuso. Nel nostro paese sono specialmente i giovani, nello specifico il 10% dei circa 8 milioni e 200 mila tra i 12 e i 25 anni (ISTAT 2018), che dichiarano di non essere soddisfatti della propria vita e di non trovarsi in uno stato mentale ottimale. In conclusione possiamo dire che la sindrome da burnout può insorgere negli studenti universitari e che molto spesso essa provoca un calo di motivazione, tale da indurre, nei casi di maggiore gravità, all’abbandono degli studi universitari, al quale però spesso non segue la ricerca di un nuovo percorso di formazione, di orientamento, di presa in carico della propria sofferenza psichica o di ingresso nel mondo del lavoro. Gli studenti in burnout non diagnosticato vanno dunque ad incrementare il numero dei neet che nella nostra società è già abbastanza elevato[6].
Incrociando i dati di Eurostat con quelli dell’Istat, che riguardano la fascia 15-34 anni, il numero dei neet in Italia supera i 3 milioni. Non ti sembra un dato preoccupante?
Spero che avremo modo ancora di incontrarci su questa tematica, anche perché vorrei provare a riflettere sulle possibili soluzioni che esistono per aiutare i nostri giovani studenti e le loro famiglie a superare il burnout, soprattutto in questo momento di grande complessità, un momento straordinario, lasciando a questa parola il suo autentico significato etimologico. Ti saluto, per ora, con una citazione tratta dai saggi di Montaigne[7]:
“l’anima che non ha uno scopo stabilito si perde: di fatto, come si dice, essere dappertutto è non essere in alcun luogo”
note
- [1] Definizioni tratta dal libro di Michele Serra, “Gli sdraiati”, Feltrinelli 2015
- [2] Primario di neurologia a Parma ed esperto di Neuroscienze nell’accademia della medesima città; il virgolettato è tratto da una sua intervista del 19 novembre 2019 rilasciata per il settimanale degli studenti dell’università di Parma
- [3] Si rimanda il lettore alle preziose riflessioni dello Psicanalista Massimo Recalcati, sulla perdita del padre e a quella di Simona Argentieri sulla metafora del “mammo”
- [4] Daniel Goleman, Focus, BUR 2014
- [5] Miguel Benasayag e Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2005
- [6] Rapporto Eurostat sui Neet nel 2018
- [7] Michel de Montaigne, Saggi, Libro 1, cap. 8, Adelphi 1992, Pag.39
photo by Agnieszka Boeske