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Silvia mi chiama preoccupata: deve fare prossimamente il test di ammissione alla specializzazione (Gastroenterologia) e nelle simulazioni settimanali, non ottiene il punteggio necessario all’ammissione. Dice di sentirsi bloccata, incapace a procedere, preoccupata.
Cominciamo a lavorare su come funziona che non funziona, isolando l’obiettivo e le tentate soluzioni disfunzionali.
Silvia mi dice che questa storia della quarantena la paralizza. Non che abbia paura del virus ma ritiene che non avere una conoscenza chiara della data possibile del test la disorienti, non mettendola nella condizione di concentrarsi.
Nelle prime sessioni analizziamo le modalità di studio che in passato hanno funzionato.
Non ha mai avuto esiti negativi nel suo percorso e la modalità di organizzazione del suo lavoro pare proficua e ripetibile.
Ora però è bloccata in Spagna dalle zie, dove si era recata prima della pandemia e questo le impedisce di accedere alla sua modalità solita e di successo: non ha i manuali al loro completo e non può averli on line e questo significa preparazione non completabile.
Iniziamo a togliere gli alibi: sperimentato che rispetto alle parti studiate grazie ai manuali in suo possesso, risulta positiva nelle risposte, per ora dovrà rispondere alle sole sessioni per cui abbia studiato, riparametrando il tempo della prova rispetto al numero di risposte che potrà dare.
Funziona.
Si però c’è un altro problema: i ritmi di vita delle zie non sono simili a quelli per lei ottimali: si pranza tardi, il pomeriggio è breve, arriva a sera stremata dal tentativo di terminare il programma previsto per la giornata.
Riorganizziamo le sessioni di lavoro, dialoghiamo con le zie per rendere tollerabile un orario parzialmente diverso.
Funziona.
Si però c’è un altro problema: lei lavora bene sotto stress e la non conoscenza della data, anzi del mese del test, la mette nella condizione di sentirsi non pressata e la fa deconcentrare.
Fissiamo una data ipotetica e decidiamo di fare come se fosse la data vera; fissiamo scadenze a ritroso da quella e organizziamo il lavoro facendo ogni cosa come se quella scelta fosse la scadenza inderogabile .
Intanto Silvia ha il permesso di tornare in Italia e, pur in quarantena, sembra potersi rilassare e… si blocca di nuovo.
Già dalla seconda sessione mi era chiaro che ci fosse dell’altro che dovevamo chiarire ma Silvia, troppo intelligente e istintivamente orientata a proteggersi da un possibile riorientamento, riusciva a costruire sempre nuove tentate soluzioni, abbastanza credibili! Se non fosse che un coach collaudato, pur se a livello razionale non vede l’errore logico, a livello emotivo e percettivo sente che il tema è un altro.
Per un po’ mi sento inadeguata e ho quasi voglia di dire stop: siamo alla quinta seduta e lo sblocco, quello vero intendo, non si vede ancora.
Finché seguo quello che mi suggeriscono le emozioni e che di solito mi porta fuori dal tunnel:
“Cara Silvia, sono imbarazzata a continuare a lavorare con te; tu sai benissimo quali sono le condizioni del tuo funzionamento e sai anche come replicarle, prova ne sia che quando ti ci metti, passi le simulazioni col punteggio che vuoi; né hai mai manifestato paura rispetto al test, o credenze tali da bloccarti in sequenze di dubbi a cui non sai come rispondere, continuando ad interrogarti all’infinito.
Non credo che tu abbia davvero bisogno di un coach e nemmeno di un counselor, men che meno di un terapeuta come a volte suggerisci.
Adesso io ti chiedo di fare una pausa, meglio, di fare IO una pausa, così da riflettere sulla mia possibilità di andare avanti con te, perché non sono sicura di riuscire ad aiutarti”.
Su Skype è certamente più difficile osservare il non verbale ma noto che Silvia, un po’ abbronzata per la sua permanenza in Spagna e grazie alla sua residenza siciliana, inizia a impallidire e, come quando colgo intuitivamente l’azione giusta, sento nello stomaco, prima del feed-back, che ho mosso qualcosa.
Silvia balbetta un po’ e poi dice
“… è che io, in verità, io…… non so se mi voglio spostare da qui, non so se voglio accedere alla scuola prevista per la specializzazione, non so se voglio andare al nord per preparami meglio, non so … non so… non so… in verità non so affatto se voglio fare la gastroenterologa!”
Centro!
Allora si ricomincia, alla sesta seduta che sarà la prima. Cambiamo modello, lavoriamo con l’Empowerment e da ora ricostruiremo la Visione di Silvia, rispetto al lavoro e alla vita.
Ora mi sento a posto, centrata, adeguata, capace. Mi spiace solo di averci messo tanto ma Silvia aveva bisogno di tempo per arrivare al suo vero obiettivo di coaching.
Il caso di Silvia è ancora in corso, la pasticceria Martesana di cui parlavo nell’articolo precedente, con la riapertura, punterà a sviluppare nuovi canali e linee di business, con una modalità maggiormente pianificata e una capacità di analisi e controllo, accresciuta dal lavoro svolto e dalla certezza di avere un personale che sa adattarsi e cambiare le cose in corso d’opera.
Silvia, dopo un primo lavoro di visualizzazione, sembra capace di prefigurare il suo futuro e necessita solo di un po’ di tempo per focalizzare meglio se la gastroenterologia è la sua strada o meno; per ora è certa di non voler andare al Nord d’Italia e di prediligere una professione solo in parte in ambito pubblico, che le consenta in parallelo, di gestire una famiglia.
Percorsi forse diversi da quelli più tipici del coaching, percorsi che, in questo momento, permettono a noi coach di sentirci sulla parte destra del continuum: indispensabili.
Questo periodo, pur nella sua drammaticità, è fonte di novità, apprendimenti, adattamenti. Abbiamo cambiato i nostri approcci, ci siamo allineati al bisogno e, sul piano emotivo, più che su quello razionale, abbiamo appreso molte cose che non avevamo colto, perché bloccati dalla trappola del virus, dove tutto sembra finto; come le strade vuote, le persone che cambiano marciapiede se si vedono a distanza, le ore di fila ai supermercati, i bambini che non possono uscire, i cani che non possono scorrazzare se non sotto casa ed entro i 50m.
Come in un blade runner versione moderna, dove i replicanti sembrano umani e gli umani, spesso, sono replicanti veri.
Come nell’Orwelliano 1984, in cui anche le cose naturali sono proibite ed il controllo è totale, imprevedibile, spaventoso……
“Nulla sarà più lo stesso”, vero, ma anche “andrà tutto bene”.