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Con queste Olimpiadi di Tokyo, e dopo la conquista degli europei di football, l’espressione mental coach sta uscendo dal suo settore specialistico per raggiungere il grande pubblico.
Mancini che raggruppa i suoi in campo prima dello sprint finale per la conquista di Wembley, Jacobs che ringrazia la sua mental coach nelle interviste dopo avere conquistato l’oro olimpico nei cento metri, solo per fare due fra i tanti esempi recenti.
Che cos’è il mental coaching
L’espressione mental coaching raggruppa tecniche diverse, che hanno in comune l’allenamento della testa a completare l’allenamento del corpo, con l’obiettivo di conseguire un traguardo fisico, corporeo, atletico. Si parla di:
- mental coaching motivazionale
- mental coaching per conseguire lo stato di flow
- mental coaching funzionale
- mental coaching per la visualizzazione
Attenzione: il mental coaching ha sì come terreno d’azione l’allenamento della testa, ovvero dello stato d’animo, della mentalità vincente, della tenacia, della determinazione, ecc. Ma questo coaching non si fa solo con esercizi di testa, si fa anche con esercizi fisici, complementari o diversi rispetto a quelli che l’allenatore prescrive per la parte muscolare.
Il mental coaching ha radici serie e lontane, ne hanno parlato anche diversi autori di CoachingZone, fra cui Marisa Muzio che ha applicato il concetto di flow, Letizia Navarino che ha racconta storie vere di atleti, Paolo Loner con esempi pratici e nelle Dirette di CoachingZone di luglio 2021.
Mental coaching motivazionale
Ricordate il film “Ogni Maledetta Domenica”? Al Pacino che interpreta l’allenatore che parla ai suoi dei centimetri da conquistare sul campo, uno dopo l’altro, per riuscire a farcela? Fatica e risultato, sudore e concentrazione. Questo è il mental coaching motivazionale applicato al team, al momento-chiave della partita, che fa appello alle ultime energie, all’orgoglio e allo spirito di squadra.
Ma parliamo di coaching motivazionale anche nelle fasi precedenti e anche negli sport individuali. Pensate allo stress degli atleti che si erano preparati per l’Olimpiade del 2020 e se la sono vista rimandare di un anno… alla loro frustrazione, al timore di non riuscire a raggiungere più quel livello di performance, alla tentazione di concedersi una pausa o addirittura di buttare via tutto: per contrastare queste cose ha agito il coach motivazionale. Trovando per ognuno la parola giusta, si tratti di esempio, esercizio fisico, schiaffo morale. Perché, come ben sanno i manager, la motivazione che conta è quella che si protrae nel lungo periodo, quella che ti fa continuare spendere le tue energie tutti i giorni, quella che ti fa lavorare e imparare anche quando i risultati sembrano distanti.
Mental coaching per lo stato di flow
Lo stato di flow, definito così dallo psicologo ungherese-americano Mihàli Csikszentmihàlyi negli anni ’70 del secolo scorso, è una condizione dell’organismo, inteso come somma di corpo, mente, emozioni, in cui è immerso e concentrato in quello che sta facendo, e quindi riesce ad esprimerlo al massimo delle proprie potenzialità. Vale nello sport, vale nel lavoro o qualsiasi altra attività.
Una condizione che ricorda un po’ l’espressione popolare “essere in stato di grazia”, quello stato in cui riesci a dire efficacemente quel che vuoi dire, ritrai in un quadro proprio il sentimento che stai cercando di ricreare, riesci a fare uno sforzo fisico che normalmente troveresti disumano, riesci a completare un lavoro mantenendo la qualità fino in fondo dopo aver esaurito tutte le energie normalmente disponibili.
E’ uno stato fisico misurabile, fatto di ormoni e battito cardiaco e sangue e respirazione e muscoli; non è solo una metafora o un’intenzione. E si può allenare!
Mental coaching funzionale
Allenamento mentale, complementare a quello fisico predisposto dall’allenatore, funzionale allo stesso obiettivo, ovvero il conseguimento di un traguardo atletico.
In che cosa è complementare? In tante:
- preparazione alla vita di sforzo e rinunce che caratterizza i professionisti dello sport agonistico
- ottenimento a 18-20 anni di quell’adultità che di solito si raggiunge ben più tardi: che fa rispettare gli avversari, rinunciare alle vacanze, gestire i tempi della gara, gestire la pressione della competizione e dei media e dei fans
- sviluppare tenacia e concentrazione, capacità di concentrarsi sull’obiettivo e di mantenerla anche nel medio e lungo periodo
- accettare la sconfitta come una tappa intermedia del processo di crescita
- sviluppare spirito di squadra, fondamentale negli sport di squadra ma anche in quelli che sembrano individuali: pensate al ruolo dei gregari nel ciclismo, o alla solidarietà nella scherma e nel nuoto
Mental coaching per la visualizzazione
Il primo atleta che ha fatto sapere di averlo applicato, è stato Dick Fosbury, noto per avere rivoluzionato la tecnica del salto in alto, medaglia d’oro ai Giochi di Città del Messico nel 1968. Ma è importante anche per un’altra cosa: si è allenato -anche- visualizzando da fermo ogni singolo passo, ogni singolo movimento delle gambe e delle braccia, ogni singolo passaggio della torsione del busto intorno all’asta.
Ricordate la scena di Grey’s Anatomy in cui Cristina Yang visualizza e mima ogni movimento delle dita, ogni spostamento del corpo intorno al tavolo operatorio, per prepararsi all’operazione a cuore aperto che la attende? Ecco, si tratta di questo. Una preparazione di testa che riguarda in dettaglio i movimenti del corpo, non le emozioni o le aspirazioni; che consentirà di affinare la performance anche attraverso il controllo delle emozioni.
Come lavora il mental coach?
Lavora come un coach normale: incontra il suo coachee, definisce obiettivi, concorda un piano, imposta degli esercizi. Questi esercizi, come in ogni percorso di coaching, sono mirati a portare il coachee fuori della sua comfort zone, ovvero a fargli fare delle cose al di fuori della sua esperienza abituale. Questo serve ad ampliare le sue capacità, sbloccare eventuali (ma probabili) blocchi che si frapponevano fra lui e il risultato, allenare una capacità fino a farla diventare naturale attraverso la ripetizione, come le neuroscienze ci hanno confermato.