Abbiamo fatto un primo workshop sull’arte delle domande, con Susanna Mazzeschi e Claudio Antonelli.
Perché le domande sono il complemento delle affermazioni, le domande aprono lì dove sembra che sia chiuso, le domande mettono in gioco chi le fa e anche chi è chiamato a rispondere, sfidano chi sta intorno a interrogarsi a sua volta, muovono le emozioni e non solo il ragionamento.
Parliamo di arte perché si tratta di una operazione che può essere creativa, evocativa, generativa. Insomma, non necessariamente meccanica e funzionale.
Però: se è così, come mai ne facciamo così poche? Come mai siamo in difficoltà a farle? Come mai nella maggior parte dei casi si afferma, in modo più o meno perentorio?
Ci ha fatto piacere chiacchierare sul tema con i nostri ospiti, che ci hanno dato contributi brillanti, proseguiti poi con la chat di Linkedin di Laura Mogoi, che ringraziamo per il livello degli spunti forniti e di quelli che ha fatto nascere.
Nel primo esercizio che abbiamo fatto sono emerse due cose:
- Che al domandare si associano difficoltà, ritrosie, timori, imbarazzo: ovvero tutti aspetti legati alla relazione, alle emozioni della relazione con chi ha affermato ed eventuali altri partecipanti alla situazione; “se domando si capisce che non so”, “quando domando mi sento giudicato”, “ho paura di andare fuori tema”, e simili.
- Che per domandare si intende in modo quasi automatico chiedere spiegazioni. Cioè l’operazione del domandare viene vista come strettamente unita alle affermazioni che sono state fatte, si colloca nel suo solco, è finalizzata ad ottenere maggiori dettagli, o magari a mostrare di saperne già di più. Nessuno ha proposto che domandare può essere “chiedo perché” oppure “davvero questo progetto è prioritario?” oppure “ci sono alternative” o ancora “voi che cosa ne pensate?”
La nostra proposta invece è che domandare è una cosa potente, che apre alla riflessione, che fa entrare dentro le dimensioni di passato e di futuro e di possibile. Una cosa che mette sullo stesso piano chi parla e chi risponde, che si alternano in questo ruolo. Ecco perché le domande possono illuminare, dare luce anche all’altra faccia, mettere in vista quello che era nascosto.
Non solo. Come ha sottolineato Susanna, domandare è l’unica strada per coinvolgere, per fare in modo che gli altri si approprino di un progetto o un’idea, in modo da procedere poi insieme con lo stesso livello di motivazione.
Facile? No, come l’esperienza ci insegna. Perché manchiamo dell’allenamento a fare la domanda giusta, a scegliere i tempi. Qui su CoachingZone abbiamo raccolto un po’ di domande potenti, con l’aiuto di Chat GPT. Valga per tutte la prima domanda della Bibbia, in cui il Creatore chiede ad Adamo (che ha appena mangiato la famigerata mela) “dove sei?”
Capite? Non chiede “perché mai avete mangiato quella mela” o “perché avete dato retta al serpente? cosa ti avevo detto di fare?” o “adesso che hai mangiato la mela che cosa ti aspetti?”
Chiede “dove sei?” in cui l’avverbio è tanto spaziale quanto temporale quanto emotivo.
Quindi il tema vero è la domanda giusta, per aprire al dialogo e al confronto, espressa con parole non connotate -ovvero che non sottintendono risposta giusta e risposta sbagliata- e utilizzando tecniche e strumenti che si possono imparare e affinare.
Per fare qualche esempio, trovate qui le domande di Montalbano e quelle della Divina Commedia.
Un’ultima osservazione. Ci sono lingue in cui chiedere per avere e chiedere per sapere si esprimono con un verbo diverso in un caso e nell’altro. In tedesco rispettivamente bitten e fragen, in portoghese pesquisar e pedir; in inglese ask per entrambi i casi, ma request se si vuole veramente ottenere una cosa.