Cambiare la cornice è una buona strada per gestire l’esperienza di errore e imparare da lì. Ovvero dare all’evento un contesto e una lettura differenti da quelli abituali. Vediamo perché.
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Le probabilità di avere con l’errore ed il fallimento un rapporto sereno ed orientato al miglioramento sono purtroppo molto basse, come abbiamo avuto modo di vedere nel precedente articolo.
Questo sia per come funziona il nostro cervello, sia per il contesto nel quale siamo cresciuti e nel quale viviamo e lavoriamo. La buona notizia è però che possiamo imparare a sfidare il nostro pensiero automatico e inconsapevole, agendo consapevolmente in una direzione diversa.
La via maestra per imparare a pensare in maniera diversa è il cosiddetto “reframing” ovvero “reinquadramento”. L’inquadramento è una funzione cognitiva naturale che consiste nel dare un senso al flusso incessante di informazioni che arrivano al nostro cervello dall’esterno. Una cornice (in inglese appunto “frame”) è un insieme di ipotesi che dirigono la nostra attenzione su determinati aspetti di una situazione, proprio come una cornice che racchiude un dipinto dirige l’attenzione su determinati colori e forme del dipinto stesso.
Quando ci troviamo di fronte ad un errore o peggio un fallimento, la maggior parte di noi lo inquadra automaticamente come negativo, attivando riflessi autoprotettivi e disattivando invece la curiosità di capire meglio cosa sia successo. Reinquadrare questa situazione significa praticamente fare una pausa abbastanza lunga da mettere in discussione questo “framing” automatico (=avere il tempo per pensare a come pensiamo). La pausa ci aiuta infatti a prendere consapevolezza delle nostre risposte automatiche sovrascrivendo risposte più sane ed utili.
- Prendiamo ad esempio i bambini in età scolare. Di fronte ad un cattivo voto in matematica, la cornice automatica negativa porterà al seguente pensiero: “non sono bravo in matematica, per cui non vale la pena spendere energie per migliorare”. Il reinquadramento porterà invece ad un nuovo, diverso pensiero: ”la matematica per me è difficile, ma se sto attento e faccio domande sui miei errori, posso imparare a fare meglio”.
- Più in generale, di fronte ad un errore pensiamo che “avremmo dovuto fare meglio e che ci siamo sbagliati per non averlo fatto” oppure “accettiamo quello che è successo e impariamo il più possibile da questa esperienza”?
Un anestesista in un recente tweet ha commentato che quando qualcuno gli faceva notare un errore si sentiva molto male, ma da quando si è allenato a incorniciare diversamente questi episodi (“qualcuno mi fa notare un errore = i pazienti ricevono cure più sicure”) ora vive l’errore in maniera più positiva.
Di seguito uno schema che può aiutarci a mettere in pratica il “reframing” quando commettiamo degli errori (rielaborazione da Amy Edmonson, “Il giusto errore”, Egea, Milano, 2024):
Comportamento | Significato | Cosa fare | Domande |
Fai una pausa | Fermati per qualche istante per disinnescare le risposte automatiche | Fai un respiro profondo concentrandoti solo su quanto è avvenuto sia all’esterno che dentro di te | 1) Cosa succede?
2) Qual è la situazione? 3) Come mi sentivo prima che succedesse questo? |
Analizza | Rifletti consapevolmente sui tuoi pensieri istintivi per comprenderli razionalmente e valutarne l’utilità per il raggiungimento dei tuoi obiettivi | Verbalizza dentro di te ciò che sta accadendo nella tua mente in conseguenza dell’errore e poniti le domande elencate qui di fianco | 1) Quali pensieri riflettono la realtà oggettiva?
2) Quali pensieri sostengono il mio benessere e possono innescare una risposta utile? 3) Qual è un’altra possibile interpretazione dei fatti (reinquadramento per sentirsi meglio e andare avanti)? |
Scegli | Dì o fa qualcosa che ti aiuti a raggiungere i tuoi obiettivi | Rispondi alle domande elencate qui di fianco sulla base del “reframing” | 1) Che cosa desidero veramente?
2) Che cosa mi aiuterà a raggiungere i miei obiettivi? |
Un ulteriore aspetto estremamente interessante è la cosiddetta “dichiarazione del framing”, ovvero un messaggio che i leader esperti lanciano alla propria squadra perché sanno che le persone hanno bisogno di aiuto nel diagnosticare e ricodificare il contesto, per essere sempre i più efficaci possibile.
Ad esempio il capitano della United Airlines Ben Berman, molto attivo anche nelle indagini sulla sicurezza aerea, prima di ogni volo che comandava soleva dire ai membri dell’equipaggio della cabina di pilotaggio a cui era appena stato assegnato: “Non ho mai fatto un volo perfetto e ve lo dimostrerò anche questa volta”. Al che i membri dell’equipaggio ridevano e lui rincarava la dose: “Quindi ho bisogno di voi; voglio che parliate chiaro e mi diciate quando sto facendo qualcosa di sbagliato, perché succederà. E io farò lo stesso con voi”. Un modo davvero umile e diretto per riconoscere la verità ovvero che gli errori sono sempre dietro l’angolo e che quindi l’unica possibilità di effettuare un volo in piena sicurezza è quello di creare un ambiente di lavoro psicologicamente sicuro, non nascondendo gli errori ma al contrario consentendo alle persone di parlare apertamente dei problemi e dei modi per risolverli.
In conclusione, la fallibilità è parte di ciò che siamo (d’altronde anche “lo stesso universo – come amava dire il fisico Stephen Hawking – è assolutamente imperfetto, dunque a cosa serve cercare qualcosa che in realtà non esiste”?). Certamente ci vuole coraggio in questo senso per essere onesti con se stessi, ed è un primo passo per esserlo anche con gli altri. Poiché dunque l’errore ed il fallimento sono un dato di fatto, sbagliare non è una questione di se ma di quando e soprattutto di come. Ma migliorare come esseri umani fallibili significa anche imparare a fallire bene, a partire dal vocabolario che si utilizza, dai nostri pensieri sino alle strategie per prevenire/mitigare gli errori inutili o dannosi e coltivare il desiderio di fallimenti intelligenti più frequenti, da cui trarre linfa vitale per il miglioramento continuo.
Potremo così, nel mio auspicio, vivere addirittura con gioia la nostra fallibilità. Benché possa sembrare illogico, in questa chiave di lettura l’errore può essere un dono. E’ un dono la chiarezza che può portare sulle capacità che abbiamo bisogno di sviluppare, come lo è il farci comprendere le nostre vere passioni.
Per questa ragione nel 2019 Astro Teller, famoso direttore dei laboratori di Google X, rispondendo durante una riunione a una specifica domanda, disse che se fosse stato necessario in futuro licenziare qualcuno, le prime ad andarsene sarebbero state le persone che non avevano mai fallito.
photo by Sara Garnica