Nelle situazioni di crisi, stasi di mercato, peggioramento dei risultati, le organizzazioni, a fronte dell’obiettivo di ripristinare una situazione migliorativa in termini soprattutto di fatturato e margini, hanno di solito due strade prevalenti:
- Far fare il cambiamento ai vertici, i quali, investiti di piena responsabilità, economica, organizzativa e giuridica, individuano le strategie (ora operando nel Comitato di Direzione, a volte per opera esclusiva dell’imprenditore e dei suoi immediati collaboratori), individuano i malfunzionamenti, delineano le strade da percorrere (frequentemente comprendenti tagli di organici e drastici abbattimento dei costi), stabiliscono le azioni e poi calano il cambiamento sulla struttura.
- Far fare il cambiamento ai consulenti esterni, i quali, in virtù di competenza metodologica e/o specialistica, sono spesso i più adatti ad osservare la situazione “con distacco” , individuare i punti d’intervento e proporre soluzioni e cambiamenti partecipando, a volte, anche alla loro attuazione
Si tratta pur sempre di un cambiamento fatto dai vertici, con la differenza che una parte della responsabilità, in apparenza, si sposta verso l’esterno, rendendo in qualche caso più fluido il percorso.
Non sono queste le uniche modalità per imprimere un cambiamento veloce alla struttura ma spesso le più praticate in quanto:
– il processo è sicuramente supportato da un alto e forte commitment;
– il percorso è sufficientemente rapido, compatibilmente con le possibilità di variazione di funzioni, ruoli e sistemi operativi;
– impatta immediatamente sulle variabili hard ed è top down, quindi non ha bisogno di consenso ma di attuazione precisa.
Il fatto è che queste modalità, spesso realizzate anche in tempi piuttosto rapidi, data la velocità necessaria a ripristinare una situazione finanziaria che funzioni, si rivelano spesso essere tentate soluzioni, intese come
– soluzioni che non hanno funzionato,
– oppure hanno funzionato solo parzialmente o per un breve periodo,
– oppure hanno addirittura prodotto un peggioramento.
E’ evidente infatti che intervenire almeno sui sistemi, sulle competenze, sui meccanismi organizzativi, sul sistema premiante, ha certamente un costo consistente. A fronte del fatto che l’organizzazione, una volta toccata nelle variabili hard, è difficilmente modificabile, e qui si coglie il paradosso di dover agire in velocità laddove, al contrario, un percorso di gradualità creerebbe meno scossoni.
Inoltre le risorse non sono coinvolte da subito, e questo rende difficile l’accettazione: trovandosi all’improvviso ad affrontare qualcosa che non conoscono e non comprendono, preoccupate da ciò che vedono accadere, a volte senza spiegazioni o con motivazioni fittizie, per quanto possano desiderare di aderire al mandato, a volte proprio non ci riescono.
Infine la responsabilità prevalentemente nel vertice, anche per quel che riguarda gli aspetti di contenuto più specifico, rende difficile collaborazione ed integrazione. Poiché, soprattutto ai livelli intermedi, le persone non se la sentono di attuare senza interpretare, ma non hanno le leve per capire direzione e senso di ciò che sta accadendo
Sarebbe banale sostenere, all’opposto, che il miglioramento debba essere condotto dalle risorse della struttura: se esse avessero capacità, possibilità e leve per condurre cambiamenti in autonomia, questi avverrebbero in modo naturale e continuo. Ma così non è.
Per uscire dall’impasse è d’aiuto ricondursi ad un particolare concetto di delega condiviso da molti autori:
“Delegare significa abbassare la responsabilità della soluzione dei problemi, al livello più vicino a quello in cui i problemi (ed anche i progetti!) nascono” . L’idea chiave di questa affermazione è che lì dove si opera, siano disponibili le informazioni e le persone siano chiamate ad agire in velocità e con la loro competenza, spesso senza avere il tempo o la possibilità di accedere, per le decisioni , a livelli superiori
E’ normale chiedersi allora come mai le persone titolate ad intervenire per rilevare una discontinuità ed attivare un miglioramento immediato, raramente lo facciano, tanto da indurre i vertici a procedere in assenza –o con coinvolgimento limitato – di così pregiata risorsa.
Le informazioni in nostro possesso, ricavate da tanti anni di lavoro con le organizzazioni, suggeriscono che, anche quando dotate di potenziale per agire, le risorse, benché intuiscano spesso come intervenire per migliorare le cose, frequentemente si bloccano.
I tipi di blocco sono molteplici e molti di questi hanno a che fare con la percezione che la persona ha di sé nella situazione. Per citarne qualcuno:
– non so se sarò in grado,
– non compete a me,
– non penso che vedrebbero di buon occhio una mia iniziativa,
– non ho mai fatto in questo modo, la strada solita è più sicura,
– se andasse male, cosa mi accadrà?
– lo farei anche ma dato che non mi riconoscono mai i risultati……
– ……….
Si tratta per lo più di stereotipi, luoghi comuni o emozioni che fissano la persona in un ruolo rigido, rendendola incapace di reagire o di non reagire.
Molto più raramente si tratta di mancanza di competenze o capacità: per lo più le persone saprebbero cosa fare. Ma non come farlo.
Si tratta allora di intravedere una modalità intermedia tra la strada di agire prevalentemente top-down e quella di dare alla struttura grande autonomia per favorire la via dell’iniziativa dal basso; essa consiste nel valorizzare e far emergere al massimo ciò che le persone sanno e sanno fare, guidandole con un processo rigoroso che ne permetta l’espressione ma ne tracci passo a passo la via.
Il modello a cui ci appoggiamo per ottenere questo, è il Modello Strategico, studiato e diffuso in Italia e nel mondo dal prof. Nardone e dal suo staff dello Strategic Therapy Center.
A fronte della necessità di innalzare la performance dell’organizzazione, a valle di un mandato conferito dall’organizzazione procediamo come segue, sulla falsariga di un percorso di coaching:
– Selezioniamo insieme alla struttura, dei gruppi di lavoro a tema, scelti fra gli ambiti su cui si voglia tentare un recupero di performance, senza soffermarci a valutare in quale misura gli ambiti o i temi prescelti siano all’origine del peggioramento o semplicemente ne subiscano l’impatto.
– Individuiamo, con ciascuno dei gruppi, il punto di arrivo atteso e i suoi misuratori in termini di aumento del fatturato, del margine o costi da ridurre (scenario oltre il problema)
– Analizziamo la azioni già fatte ed i risultati portati, fino ad escludere le strade che non portano cambiamenti o solo parziali (analisi delle tentate soluzioni)
– Individuiamo la presenza di strade che hanno funzionato e cerchiamo di studiarne la ripetibilità (ricerca delle eccezioni positive)
– Frammentiamo il problema/progetto di ogni gruppo in piccoli passi, a partire dal punto d’arrivo a tornare indietro ed attacchiamo ad operare sull’obiettivo più immediato, introducendo piccoli cambiamenti possibili subito (scalatore)
– Osserviamo i risultati ed introduciamo variazioni, al fine di allineare costantemente l’azione al risultato atteso
Nel procedere, i gruppi operano per lo più da soli in campo, incontrandoci per brevi spazi, al fine di verificare l’andamento e la produzione dei risultati
Il nostro compito quindi non è quello di entrare nel dettaglio dei contenuti ma assicurare che le azioni poste in essere siano:
– Orientate al risultato da portare.
– Sufficientemente ampie da creare valore e sufficientemente piccole da non destabilizzare la struttura.
– Coerenti fra loro al fine di non creare fratture nel percorso.
– Sostenibili da chi le pone in atto , così da non generare desideri di tornare indietro.
– Fattibili sul piano economico, con le risorse in possesso dei gruppi o con il supporto di altri responsabili/funzioni, di cui i partecipanti siano titolati a ricercare il coinvolgimento.
Sono numerosi i casi da noi portati avanti con soddisfazione. i risultati sono visibili in tempi molto rapidi, i vantaggi visibili:
- Non è necessario individuare fin da subito un target organizzativo complesso e definitivo: lavorando su piccole parti, si costruiscono practices e si porta all’attenzione del management un processo che configura già pezzi di risultato più ampi e favorisce la motivazione del top verso l’intervento su variabili hard.
- E’ un processo che non forza perché, una volta accettato il metodo, i contenuti sono costruiti con il supporto diretto delle persone e quindi facilmente assimilati e sempre verificati nella fattibilità.
- Può rendere evidenti altre incoerenze organizzative e comportamentali, che possono essere corrette strada facendo per effetto dell’intervento in atto.
- Contrariamente a ciò che si può pensare questo intervento non è più lento di altri top-down perché esiste un “effetto contaminazione” dato dal fatto che le persone, osservandosi e parlandosi, imitano i comportamenti che funzionano e l’effetto del cambiamento si amplia spontaneamente con effetto valanga.
- Le persone si sentono molto più coinvolte e chiamate in causa già nella fase di ricerca della strategia e quindi si abbassa notevolmente la resistenza.
- L’attivazione di nuovi comportamenti induce rapidamente differenti modalità di lavorare, che sollecitano successivamente l’intervento sui ruoli, sui sistemi di pianificazione e controllo. Fino a pervenire, in molti casi, a nuove strutture organizzative disegnate sulle nuove practices introdotte.
- Il miglioramento avviene senza scossoni, con un percorso naturale che rende il cambiamento inevitabile.
Articolo pubblicato il 3/10/2015 sulla pagina Linkedin dell’autrice.