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In poco più di un paio di secoli siamo passati dalla prima rivoluzione industriale a quella tecnologica dell’intelligenza artificiale. Nello stesso periodo in cui il motore a vapore offriva nuovi scenari di sviluppo economico, Jeremy Bentham progettava il Panopticon, un carcere iper sofisticato in cui un unico osservatore (opticon) riusciva a controllare tutti (pan), senza che questi ne fossero consapevoli. L’intenzione del giurista filosofo era di creare una struttura architettonica attraverso la quale controllare la mente di chi vi viveva, dato che la sensazione di essere sempre controllati (senza però vedere il loro guardiano) avrebbe indotto i prigionieri a un comportamento di rettitudine. Si tratta di un esempio particolarmente efficiente di organizzazione delle persone nello spazio al fine di renderle docili e utili.
Se oggi non vogliamo ritrovarci nel Panopticon di Bentham è necessario porsi delle domande e affrontare la nostra presenza nello spazio (fisico e digitale, entrambi reali) con spirito critico.
Cos’è il benessere digitale?
Digital wellbeing sta diventando un termine di uso abbastanza comune all’estero, specialmente in UK e USA. Dall’anno scorso Google ha lanciato il suo progetto proprio sul benessere digitale in cui il focus è riflettere su come usare la tecnologia affinché non sia fonte di distrazione.
Un altro esempio significativo nel panorama soprattutto americano è il Humane Center for Technology, fondato da Tristan Harris e altri ex dipendenti delle grandi aziende tecnologiche (da Facebook a Google). Obiettivo di questi professionisti è portare l’attenzione sul dispendio di tempo che molto spesso i dispositivi digitali ci portano ad avere.
Come riuscire a meglio gestire le distrazioni digitali?
Le strategie possono essere tante e varie, a seconda degli obiettivi che ci si pone e dello stato dei fatti. Detto questo però, soprattutto in ambito lavorativo questi sono tre consigli facilmente applicabili:
- Definire tempi e luoghi (anche limitati) in cui il digitale non entra, per preservare uno spazio di massima concentrazione.
- Educare i propri collaboratori, clienti e interlocutori in generale a contattarci nei contesti digitali come noi lo desideriamo. Se non vogliamo che un cliente ci contatti su WhatsApp, non facciamolo a nostra volta.
- Avere chiaro l’obiettivo per cui stiamo per sbloccare lo smartphone o aprendo la mail, e attivare la nostra consapevolezza per evitare di essere agganciati da tutta una serie di distrazioni che rischiano di portarci altrove.
In generale possiamo dire che la chiave per prendersi cura del proprio benessere digitale sta nel porre intenzione e consapevolezza nel tempo che investiamo online. Ma questo in fin dei conti, vale per tutto ciò che compiamo nella nostra vita.
Ne parliamo giovedì 4 luglio 2019, al prossimo Caffè con CoachingZone, ospitato a Milano negli spazi di Filippo La Mantia