La resilienza è la capacità di rialzarsi. Non è la resistenza, che è la capacità di opporsi, del tipo mi spezzo ma non mi piego. Anzi, è esattamente il contrario. Non è la flessibilità tout court, perché contiene invece la focalizzazione sugli obiettivi o lo status originario.
Può essere una caratteristica dei materiali, di un programma informatico, di un organismo vegetale, di una persona, di una società. Ora un interessante articolo di The Guardian ci segnala che esistono anche le città resilienti, e per esserlo si dotano di Chief Resilience Officers che si riuniscono per dotarsi di strategie comuni, con il patrocinio della Rockefeller Foundation.
Quello che è interessante sono proprio queste attività e strategie, che possono rappresentare uno stimolo per la resilienza di un’impresa e un individuo. In chiave di self-coaching o altri programmi di sviluppo. Perché puntano verso:
- la costruzione a priori di reti di solidarietà,
- la pianificazione che includa diverse alternative,
- l’analisi e la quantificazione delle risorse visibili e invisibili,
- l’analisi del rischio,
- la consapevolezza che i danni possibili sono materiali e immateriali, includendo stress e shock,
- la visualizzazione della peggiore alternativa possibile.
Sono tutti strumenti di un percorso di coaching manageriale!
La celebre foto di Robert Capa che illustra il post, può ben rappresentare la resilienza italiana dopo la seconda guerra mondiale. Fa parte di una rassegna esposta al Palazzo della Ragione di Milano, novembre/dicembre 2015.