Il capo mi ha detto che dalla prossima settimana dovrò cominciare un percorso di miglioramento con un coach. Che l’azienda ha scelto per me.
Mah, non ho capito bene a che cosa mi possa servire.
Ho un sacco di cose da fare, ogni giorno mi affibbiano nuovi progetti, devo preparare il piano di lancio di una nuova linea di prodotti, nei prossimi giorni verranno i revisori della sede centrale francese, l’amministratore delegato sta aspettando da me il business plan della mia “area” e non ci ho ancore messo le mani.
Poi che cosa vogliono di più da me, gli ultimi risultati parlano chiaro, abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che la direzione generale aveva posto come strategici, anzi li abbiamo anche superati.
Un esterno, un coach, un consulente, che non sa nulla di me, del mio team e del clima che si respira in azienda.
Vorrà impormi le sue idee, non avrà voglia di ascoltare le mie, magari mi costringerà a perdere del tempo a pensare, a me che sono un concreto – attivo – positivo manager, che vuole soltanto il bene dell’azienda (e anche un poco il proprio tornaconto).
Con tutto il lavoro che mi aspetta nei prossimi mesi dovrei ritagliare ore preziose per seguire le masturbazioni mentali di un teorico, che non ha mai vissuto dall’interno l’azienda, che non si è mai sporcato le mani, che avrà soltanto lavorato in una di quelle mega società di consulenza che vivono di schemi, di teorie, di assiomi, di paradigmi vuoti e poco pratici.
Tutto perché il mio nuovo capo ha fatto quell’esperienza avventurosa e a suo dire estremamente formativa del viaggio in Namibia con questo coach, tra tende e animali selvaggi: ce l’ha raccontata tutta fino alla nausea, come se il mangiare intorno ad un fuoco nell’Africa tenebrosa servisse a conquistare punti di share.
Bene, a qualcosa sono serviti tutti gli sforzi nel sopportare quella combriccola di tronfi manager per tutti quei giorni, con le zanzare, la puzza della savana e il sudore appiccicaticcio!
Ho convinto il direttore del personale a far fare ad alcuni suoi manager un percorso di coaching con me. Ovviamente ben pagato.
La prossima settimana vedrò il primo, un giovane rampante che mi dicono pieno di sé e convinto di essere il migliore al mondo.
In pochi incontri gli farò calare le arie e lo convincerò che per avere successo deve seguire soltanto i miei consigli.
Gli preparerò un percorso di miglioramento delle sue performance seguendo i criteri e i metodi che sono già andati così bene in tante altre occasioni, tanto che molti dei miei coachee mi scrivono ancora adesso per chiedermi consigli su come avere successo in azienda.
Lo costringerò ad abbandonare quel suo inutile e vorticoso buttarsi a capofitto nella quotidianità, dovrà mettersi soprattutto a pensare quel che si potrebbe fare da grandi.
Lo obbligherò a fare, settimana dopo settimana, tanti piccoli esercizi a casa e in azienda per abituarlo a tralasciare le cose concrete e dedicarsi maggiormente all’idealizzazione del lavoro.
E non sarà che il primo di tanti che in quell’azienda mi daranno soldi e celebrità nel tempo.
Il sistema ormai lo conosco a menadito e saranno loro a doversi adeguare, se vorranno fare carriera.
E’ stato divertente e stimolante fare un viaggio avventuroso con gli altri direttori e con il boss.
Quasi quasi sembravano umani, senza giacca e cravatta e qualche volta anche spaventati o preoccupati nell’affrontare tutti i disagi e i pericoli di un percorso nella savana.
Il mio amico che ha organizzato il viaggio è stato bravo nel gestire tante teste così diverse fra loro, senza che potessero pensare che tutto era nato da noi due e dalla voglia di avere un tornaconto reciproco.
Così adesso mi sarà più facile convincere l’amministratore delegato a far compiere un percorso di coaching a qualche manager rampante. Dandogli sì in mano i nomi, ma facendo in modo che lui sia convinto di averli scelti autonomamente.
Tanto io so chi voglio gratificare, chi voglio premiare e chi invece, d’accordo con il coach, farò in modo che faccia una tale brutta figura nel coaching da indurre i capi ad emarginarlo.
In questo modo riuscirò a costruire una rete di alleati all’interno dell’azienda, grati di tanti favori che ho loro concesso, ed il mio potere crescerà.
In fondo mancano pochi anni prima che il boss vada in pensione e debba essere sostituito. Da me, ovviamente.
Ho imparato, durante questa esperienza fuori dagli schemi, tante cose.
Ho visto finalmente qualcuno dei colleghi, e una volta addirittura il boss, in seria difficoltà nel districarsi nella sabbia e nel fango, sicuramente più disagevoli di una riunione strategica su comode poltrone in pelle.
Quasi sempre ho potuto farmi valere e prevalere nelle prove durante il giorno e nelle discussioni serali, brillantemente gestite dal nostro accompagnatore e coach.
E’ nato un bel feeling diretto con lui, a prescindere dalla presenza molesta e fastidiosa di quel petulante direttore del personale (crede di essere soltanto lui l’anello di congiunzione tra la formazione e l’amministratore delegato).
Infatti sono riuscito a fare in modo che per il primo percorso di coaching interno all’azienda scegliessero il più valido dei mie uomini.
Certo non è stato facile convincerlo, ma sono sicuro che ne avrà dei vantaggi. E, alla fin fine, io per primo trarrò vantaggi -economici e di carriera- dalla sua dinamicità e dalle sue capacità.
Durante il viaggio questo coach sembra aver consolidato un rapporto forte e di fiducia con molti di noi, e con me in particolare. Ottimo. Sarà la mia rampa di lancio per la successione al boss, deve o non deve andarsene fra un paio di anni?