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Grandi problemi e problemi quotidiani
C’è separazione tra i grandi problemi che affliggono il mondo e quelli che affliggono l’uomo? Secondo Otto Scharmer , prof. del M.I.T. di Boston e fondatore del Presencing Institute, siamo noi a creare collettivamente quei problemi che nessuno individualmente vuole. È nel nostro modo di pensare -> agire, di porsi obiettivi e raggiungerli, che si generano problemi sempre più complessi. Ma come possiamo cambiare questa prassi?
Quello che occorre innanzitutto fare è cambiare lo sguardo, passare da una visione del particolare, guidata da un pensiero frammentato ad una visione aperta sistemica, non solo orizzontale come è quella attuale ma anche al contempo verticale, come ci insegna la fisica quantistica. Prendere in considerazione l’aspetto verticale serve a rendere visibile l’invisibile! Ciò che ci sfugge e ci crea danno.
Paura, senso di inadeguatezza, insicurezza, da un lato, mancanza di attenzione, di ascolto e di empatia dall’altro ci fanno sentire isolati ed impotenti.
La gente è sofferente, scontenta ed infelice perché la condizione interiore di ciascuno di noi è stata ingenerosamente trascurata, dimenticata, abbandonata. Problemi al lavoro come la frustrazione, la distrazione, l’apatia, il burnout, si supera lavorando sullo sviluppo dell’ascolto interiore, sull’intelligenza emotiva e apertura del cuore. La pratica regolare di tecniche di consapevolezza e di pratiche riflessive aiutano a prendere decisioni perché permettono di passare da un processo reattivo ad uno creativo/intuitivo.
Un bias generato dalla burocrazia aziendale è quello di ritenere che le persone siano tutte ugualmente capaci nel ricoprire una determinata posizione quando hanno le competenze richieste. Ma le competenze non sono l’unico parametro da tenere in considerazione. La Teoria U ci insegna che:
“Il successo di un intervento, dipende dalla condizione interiore di chi interviene.” Bill O Brien (Ex Ceo Hanover Insurance)
Se una persona è ricca di competenze professionali ma ha grosse carenze relazionali, perché umanamente non si è sviluppata, è un problema.
La nostra Costituzione all’articolo 3 comma due indica che lo stato deve provvedere a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Di fatto questo compito così importante è spesso disatteso e costringe le organizzazioni a farsene carico per il buon funzionamento delle stesse.
Compiti dell’azienda moderna
L’azienda moderna ha dunque nuovi compiti. Oltre al profitto e alla produzione di beni e servizi deve occuparsi della valorizzazione delle persone e della tute dell’ambiente.
Prendersi cura dell’essere e le sue esigenze, ci aiuta a realizzare il pieno sviluppo della persona umana, che è il fine ultimo della nostra vita.
La felicità personale può realizzarsi solo all’interno di uno spazio sociale. E’ un processo di interazione e mutua influenza fra benessere personale e benessere collettivo, la cosiddetta eudaimonia.
I valori sono al centro del processo decisionale umano. Quando lavoriamo in un’organizzazione la cui cultura e i valori sono allineati con i nostri valori personali, ci sentiamo a nostro agio.
Il well-being diventa una strategia aziendale di trasformazione culturale
Chief Happiness Officer
Nelle organizzazioni statunitensi è nata la figura del CHO (Chief Happiness Officer) io preferisco parlare di Wellbeing manager o di Vitality manager, perché serve qualcuno capace di alzare le frequenze, oggi in azienda sono tutti “spompati” stressati o depressi. Si tratta di manager formati da coach come me, in grado di insegnare con semplicità come alzare le proprie energie e sentirsi a proprio agio in qualsiasi situazione. Manager capaci di creare il giusto clima in azienda.
“Perdi la tua mente e trova i tuoi sensi” Fritz Perls (psicoterapeuta)
La leadership vincente sarà quella “capace di dare importanza alle esperienze corporee, ai sensi, all’istinto, alle relazioni e ai valori personali” Ikujiro Nonaka (prof. di strategie e organizzazione aziendale)
Se vogliamo migliorare la comprensione della realtà ed essere felici è importante dedicarsi allo sviluppo di quelle intelligenze che abbiamo negli ultimi secoli trascurato come l’intelligenza sensitiva, intuitiva, corporea, emotiva. Sviluppare cioè una capacità di attenzione elastica in grado di spostarsi dal livello verbale/cognitivo, al livello delle sensazioni, delle emozioni, delle immagini/ispirazioni e a livello corporeo. Per contro, più pratico il pensare, meno avrò confidenza con il sentire e meno voglia avrò di usarlo.
Volersi bene significa scegliere un ora al giorno da dedicare al proprio benessere psico-fisico. Coinvolgere sempre cuore, mente e corpo con attività: motorie, di consapevolezza, e nutrimento energetico/spirituale. Ad esempio si può fare oltre ai più conosciuti yoga e thai chi, altre pratiche come il tree hugging, il feldenkrais, lo yin yoga, la mindfulness, chakra healing, reiki, cantare in un coro, etc.
CEO, HR, Leader hanno tutti il compito di guidare e infondere saggezza, compassione e fiducia attraverso azioni, che guardano al futuro, in modo innovativo, con occhi e cuore aperto. L’unica via per un vero cambiamento culturale e comportamentale è il cambiamento del cuore.
Già trent’anni fa, Peter Senge nella quinta disciplina parla di padronanza di sé, lo stesso fa Daniel Goleman con l’intelligenza emotiva.
Google è stata la prima azienda che ha capito l’importanza di introdurre un programma sul wellbeing e l’intelligenza emotiva chiamato search inside yourself (cerca dentro di te)
In un mondo altamente competitivo e v.u.c.a. (instabilità, incertezza, complessità e ambiguità) i manager devono aggiornare i loro strumenti mentali per poter prendere velocemente decisioni importanti ed altamente rischiose, senza la paura di sbagliare.
In un mondo in cui conta la velocità, una decisione che non riesce a maturare e sta lì ferma in attesa di nuovi dati che possano aiutare, può risultare altrettanto deleteria che prendere una decisione sbagliata.
Che cosa possiamo fare individualmente
Una cosa che possiamo fare tutti fin da subito è cambiare il nostro approccio nel prendere le decisioni.
Quando a decidere è una persona sola il processo decisionale può essere reattivo, cognitivo, intuitivo. È importante conoscere i diversi meccanismi come agiscono su di noi e possiamo educarci al processo decisionale intuitivo, che risulta essere il più efficace e completo.
Quando a decidere è un gruppo di persone è importante lavorare sul consenso del gruppo.
Le divisioni all’interno delle organizzazioni possono dare origine a differenti sottoculture che portano con se tensione tra i vari gruppi. Differenti orientamenti cognitivi ed emotivi tra i manager di diverse unità funzionali, possono innescare incomprensioni, resistenze e conflitti.
Lavorare sul consenso significa imparare ad ascoltarsi senza pregiudizi e schemi mentali e dialogare. Oggi giorno il dialogo costruttivo è sempre più difficile perché le persone prendono posizione e si schierano polarizzandosi su opinioni differenti. Diventa difficile accordarsi e normalmente si finisce per negoziare.
David Bohm, il grande allievo di Einstein, suggerì che il modo più efficace di affrontare la complessità consiste nel far evolvere la nostra capacità comunicativa trasformando quella attuale, caratterizzata da modalità conflittuale, basata sulla divisione e sul compromesso, in una comunicazione evoluta, whole, basata sul principio della comunione e della superconduttività.
“Esprimere un pensiero superiore collegiale, mantenendo una mente separativa, non è possibile!” David Bohm
I vecchi approcci decisionali razionali come il modello di Carnegie sono obsoleti.
Un modo differente, più produttivo è quello di affidarsi all’intelligenza collettiva.
Si tratta di recuperare oggi con modalità moderne quello che facevano gli antichi popoli, quando ad esempio si riunivano per decidere, si sedevano in cerchio.
Il termine intelligenza collettiva si riferisce alla capacità di una comunità di generare comportamenti efficaci guidati da un’intelligenza co-partecipata. Per poterla comprendere c’è bisogno di entrare nella logica della fisica quantistica, in particolare del vuoto quantistico e della conseguente interconnessione di tutte le cose.
Puntare sullo sviluppo dell’intelligenza collettiva è stata un intuizione fantastica di Otto Scharmer con la Teoria U, in quanto ci consente di intervenire subito, con delle risposte di alto valore equiparabili a quelle di una persona “illuminata”, “whole” senza che nessuno dei componenti del gruppo lo sia già.
La storia delle organizzazioni aziendali ci mostra come nel tempo si sono sviluppate delle culture aziendali sempre più evolute come il Kaizen, le Teal Organizzation etc., tuttavia ad oggi nessuno prima di Otto Scharmer ha creduto nella possibilità di agire guidati da una consapevolezza condivisa del Tutto a cui possiamo attingere grazie alla connessione del gruppo; la ha chiamata C.A.S.A. (Collective Action Shared Awareness ).
La crescita della consapevolezza come cultura aziendale diventa la soluzione alla complessità!
Pratiche di intelligenza collettiva
Per poter iniziare a partecipare a pratiche di intelligenza collettiva è sufficiente apprendere, tramite un corso di appena quaranta ore, a centrarsi, allinearsi ad ascoltarsi e a meditare. In questo modo si riesce a crea una supercoscienza dove il singolo si sente parte di qualcosa di più grande di sé. Paradossalmente non serve essere esperti ma serve essere numerosi, secondo la legge logaritmica bisogna tendere all’infinito per avere una fase perfetta.
Io nel mio piccolo sto divulgando ed insegnano questo approccio attraverso la formazione aziendale. Durante i miei corsi -che siano di Change Management, di Leadership Trasformazionale, che siano dedicati agli HR e ai Neo Imprenditori, che siano di Comunicazione per la Vendita, in presenza ed on line- non può mai mancare il capitolo dedicato alla Padronanza di Sé, al Pensiero Sistemico e all’Intelligenza Collettiva. Credo tanto in questo nuovo approccio che ha la forza giusta per affrontare il cambiamento.
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Per un approfondimento, cfr le Dirette di CoachingZone del 20 e del 27 luglio 2022
photo by Motoki Tonn