I protagonisti di questa storia sono:
- un imprenditore illuminato, capace di essere innovativo in un mercato di prodotti alimentari di prima necessità, che vuole mettere insieme un gruppo di imprenditori un po’ colleghi, un po’ concorrenti
- un tot di imprenditori che aderiscono al progetto
- io stesso, come consulente/coach con funzione di aiuto al lavoro del gruppo.
Gli ingredienti del mio lavoro sono stati la diplomazia, la gestione delle relazioni, la composizione di attriti, la gestione di contrapposizioni negli interessi personali. E poi ancora la valorizzazione delle risorse e dei passi avanti che si riuscivano a compiere, l’apertura su nuove possibilità e scenari più ampi di quelli iniziali. Un caso classico di group coaching, dove seguivo sia i singoli sia il gruppo nel suo insieme.
Sono stati mesi di incontri corali, erano 13 imprenditori quasi tutti fatti da sé e pieni di un sacro convincimento di essere i migliori, di essere unici. Gente abituata a decidere in autonomia, a diffidare più che fidarsi; consapevole del proprio valore, del successo che si erano costruiti.
Si è cercato di limare differenze di vedute, di coinvolgere nel perseguimento di un’idea di business, di stimolare i singoli a condividere competenze – know how – investimenti. Per migliorare, attraverso l’unione delle forze, le performance delle singole aziende.
Il risultato alla fine è stato positivo a metà. Insufficiente sul piano collettivo, buono sul piano dei singoli.
Gli obiettivi che si poneva l’imprenditore capofila del progetto non hanno visto l’esito auspicato, perché via via tutto si è sfilacciato, con il progressivo abbandono dei singoli dal tavolo di lavoro. Chi ha cominciato a disertare una riunione, chi ha dichiarato di avere altre priorità, chi ha ammesso che faceva fatica a cedere agli altri le informazioni di cui disponeva. Come campioni di sport individuali che non riescono a pensarsi membri di una competizione a squadre.
Ma la sequenza di incontri ha fatto crescere molti di loro:
- nel capire quanto sopra, cioè che il fallimento dell’iniziativa si doveva all’individualismo più che a un egoismo di business, e aveva a che fare con la personalità di ognuno, più che con gli affari e le strategie e le risorse economiche
- nella nuova consapevolezza di limiti e vincoli del proprio singolo business; consapevolezza acquisita proprio attraverso il contatto con gli altri, i loro modi di essere imprenditori, le finestre che si erano aperte su altri modi di gestire l’attività o entrare su altri mercati
- nella presa di coscienza di quanto ancora potevano migliorare, nel posizionamento e nella leadership della loro azienda nelle diverse aree
- nel capire che ha senso allearsi, e che vale la pena di farlo con qualcuno di diverso per area di business, per età anagrafica, per esperienza, o addirittura per capacità finanziaria.