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Pubblichiamo questa interessante riflessione di Gianfranco Goeta sulla leadership femminile e sugli stereotipi che a lungo ci hanno accompagnato.
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare della leadership al femminile, tema a me noto di riflesso, ma attuale e da esplorare. Imparentato, in modo sotterraneo, con la rivoluzione culturale voluta e provocata dal movimento femminista degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, tesa a ribaltare gli stereotipi sulle donne e di converso sugli uomini, espressione di una struttura sociale arcaica e obsoleta.
Parto da questa constatazione: dei cinque film che mi hanno ispirato il mio recente libro Il leader imperfetto, e mi hanno aiutato a sviscerare i meccanismi della leadership, tre su cinque vedono protagonista una donna: la proprietaria del Washington Post Katharine Graham (interpretata in The Post da Meryl Streep), la giudice dell’Alta Corte inglese ne Il verdetto (Emma Thompson), e l’addetta alle pulizie in La forma dell’acqua (Sally Hawkins).
Quando me ne sono reso conto, mi sono chiesto se fosse un caso o se questo fatto avesse un significato.
Ragionandoci su, ho formulato questa ipotesi, difficile da verificare ma intrigante: che gli atteggiamenti e le capacità manifestate (stereotipo?) dalle donne, per natura, ruoli sociali, cultura, siano più consone alle sfide del mondo attuale, mentre le attitudini e i comportamenti classicamente messi in atto dagli uomini siano legati ad un mondo in via di estinzione.
Le qualità femminili per la leadeship di oggi
Cerco di spiegarmi: da qualche anno la complessità delle sfide che il genere umano fronteggia, molto accresciuta rispetto a pochi decenni fa anche per propria diffusa (ir)responsabilità, richiede una guida flessibile, attenta, paziente e aperta ai contributi dei comprimari con le capacità di volta in volta adeguate alle circostanze. Nel mio libro la definisco “leadership come danza corale”.
Mentre l’approccio maschile-“macho”, aggressivo, autocratico, insensibile alla relazione con l’altro, è adatto ad un mondo dove tutti sono in guerra contro tutti e dove la capacità prioritaria consiste nel saper raccogliere e animare compagini di seguaci dediti alla lotta e pronti al sacrificio di sé, attraverso la gerarchia rigida tipica di un esercito (da cui non a caso discendono i termini capo e più esplicitamente “capitano”. Aggiungo: avete mai sentito dire “capitana”?).
Da dove vengono queste qualità?
A supporto di questa ipotesi estrapolo dal mio libro le capacità messe a fuoco nelle protagoniste dei film citati. Per quella di The Post mi è venuto spontaneo sottolineare la “capacità di perseverare nella fangosa fatica dell’incertezza” e chiedermi se “questa forte e delicata pazienza abbia a che fare con l’esperienza e capacità femminile di gestire il lungo travaglio del partorire un nuovo essere”.
Dall’umile donna delle pulizie de La forma dell’acqua estrapolo queste “facoltà essenziali: sensibilità, intuizione, immaginazione, creatività, capacità di adattamento, coraggio di cambiare e di rischiare”.
Della figura della giudice dell’Alta Corte britannica Fiona Maye, protagonista de Il verdetto (titolo originario The Children Act) mi ha colpito il difficile esercizio di equilibrio fra doveri professionali (agiti con bravura e lucida razionalità) e la propria natura di donna, dotata di cuore ed emozioni. Quando questo equilibrio fra mente e cuore riesce, Fiona esprime una leadership efficace nel binomio con il giovane comprimario sotto giudizio. Quando vien meno si spezza anche la leadership come relazione interattiva fra i due. Sottolineo il termine leadership “interattiva”, che assimilo alla forma di leadership etichettabile “al femminile”, sensibile e attenta alla relazione (e, aggiungo, alle ragioni del cuore).
Mi fermo qui, senza la pretesa che queste osservazioni abbiano un valore cogente. Ma, andando oltre le metafore cinematografiche, mi piace citare un fenomeno di cui siamo stati tutti testimoni negli ultimi anni, la cui conclusione recente ha sollecitato parecchie riflessioni riferibili a questo tema: lo stile di leadership di Angela Merkel (definita esplicitamente “mamma” dai suoi compaesani, con affettuoso rispetto).
E, per concludere in bellezza, perché non evidenziare che lo stile di leadership fermo ma aperto a un dialogo sorridente con tutti, senza vistosa arroganza, del nostro attuale premier, manifesta qualche parentela con l’approccio di Angela Merkel? Al contrario dello stile “latino” manifestato dal “SuperSilvio” nazionale, protagonista sulla scena degli ultimi decenni con alterne fortune, in parte legate a “interazioni” molto immaginifiche con le donne, ma soprattutto convinto portatore del verbo? E di quello caratteristico di altri “assertivi” personaggi all’onore delle cronache, come i nostri due “SuperMatteo” (per carità, ognuno con le sue caratteristiche peculiari…)?
Leadership al femminile: la leadership della pazienza
Al di là della celia, questi casi esemplari sembrano suffragare innanzi tutto la tesi che la “leadership paziente” (titolo che vorrei assegnare a un nuovo libro, se ne avrò il tempo e la forza) è vincente in questa fase del nostro pianeta, in quanto capace di generare (si spera) uno sforzo concorde verso la soluzione dei grossi problemi in cui siamo impantanati.
E infine un’ultima tesi: che questo stile di leadership, più che “femminile” (se ne celebra in questi giorni l’archetipo, in prossimità della Natività: la vergine Maria, che di paziente fermezza se ne intendeva…), possa essere etichettato come saggio, positivo e generativo, utile modello interpretabile da persone di entrambi i sessi, ognuna a modo suo (purché capace di mettersi in discussione).
Per discuterne attendo vostri contributi e vi propongo un gioco: scrivete in un commento il nome della donna (fra quelle sopra mostrate) che rappresenta meglio il modello di leadership richiesto oggi e scrivete un aggettivo che lo caratterizza.
Grazie.
Photo by Brooke Lark