La realtà è davvero così come appare? Vedo anche io quello che vedi tu? Ciò che si manifesta ai nostri sensi e alla nostra mente rappresenta la base del processo di conoscenza, gli stimoli che ci arrivano dal mondo esterno si traducono nelle nostre percezioni.
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Perfect Days
Il film era finito, nella sala le luci si erano accese e gli spettatori si stavano alzando dalle loro poltrone per incamminarsi verso le uscite del cinematografo. A Giuseppe il film era piaciuto molto anche perché era ambientato in un luogo che conosceva, avendolo frequentato più volte per lavoro. Si trattava di Tokio, una città che aveva sempre trovato sorprendente, sia in positivo che in negativo.
La trama del film voleva rappresentare un elogio alla vita semplice, ai piccoli gesti, alla gioia che c’è nell’accontentarsi e raccontava la storia di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo e delle sue azioni che si ripetevano ogni giorno, praticamente identiche: sveglia all’alba, caffè freddo al distributore, musicassette rock anni Settanta – di cui era cultore e collezionista – ascoltate nel furgone che lo portava nei luoghi di lavoro.
Si trattava di “Perfect days”, un film del 2023 diretto da Wim Wenders, il cui protagonista (Koji Yakusho) aveva vinto il premio assegnato al miglior attore dei film presentati in concorso nella selezione ufficiale del Festival di Cannes.
Il film doveva inizialmente essere un documentario sulle toilette pubbliche, come parte del progetto The Tokio Toilet. Il regista però aveva preferito realizzarlo come un’opera narrativa, mostrando le varie toilette come set, nei quali si svolgevano le vicende dei personaggi.
Di fatto, in 123 minuti di proiezione, la pellicola presentava pochi dialoghi e tanti sorrisi del protagonista, con personaggi di contorno che scomparivano con la rapidità con cui apparivano nella trama.
Una volta alzatosi dalla poltrona, Giuseppe si era guardato attorno per scorgere le espressioni dei visi di coloro che erano seduti vicino a lui e scoprire se esse fossero improntate alla soddisfazione per lo spettacolo appena terminato o piuttosto alla delusione per le aspettative disattese. Nutriva infatti qualche dubbio che fosse piaciuto a tutti.
Nella coda di persone che uscivano dalla sala sentì il commento proferito da una signora di mezza età che rivolgendosi a una amica che la accompagnava affermò: «… un film poetico… di grande qualità…».
Poco più avanti fu sfiorato da tre ragazzi che camminavano velocemente per raggiungere l’uscita del cinema e colse alcune parole che uno di loro stava dicendo: «… speso sette Euro per vedere pulire i cessi … per due ore … roba da matti».
Giuseppe era cosciente che chi crea il contenuto di un film (ma anche più in generale di un prodotto, un servizio), per quanto l’autore/autrice dello stesso possa essere indiscutibilmente bravo/brava, non è detto che realizzi qualcosa di apprezzabile da parte di tutti e perciò non si era sorpreso della diversità dei commenti raccolti all’uscita del cinema.
Commenti tra l’altro dipendenti da una importante caratteristica individuale: vale a dire il livello esperienziale e culturale dello spettatore. Ci sono infatti tematiche/finezze che non tutti riescono a cogliere e c’è persino chi coglie — apprezzandola — un’intenzione dove invece non è presente.
Di fatto, in uno spazio temporale brevissimo Giuseppe aveva avuto l’opportunità di sentire due riferimenti alla qualità del film diametralmente opposti. Due percezioni, basate sulle sole impressioni (positive o negative) trasmesse dall’opera.
La soggettività della percezione
D’altronde, era noto già da tempo che la percezione è un complesso processo per mezzo del quale riconosciamo, e diamo un senso alle impressioni che derivano dagli stimoli ambientali e il cui risultato consiste nella generazione di una opinione, un’idea, un punto di vista soggettivo (riferito quindi al soggetto che la manifesta), ovvero una visione personale della realtà (con riferimento ad esempio al gusto artistico, alla bellezza di una persona o di un luogo, a una idea politica o religiosa, alla sensazione di calore o freddo percepita).
In sostanza, il processo attraverso il quale generiamo una percezione è costituito da due passi: il primo è la sensazione, ovvero la consapevolezza di aver ricevuto uno stimolo sensoriale (un’immagine, un suono, un contatto fisico, la sollecitazione delle nostre papille gustative o dell’olfatto); il secondo è per l’appunto la percezione, ovvero il processo automatico di elaborazione mentale attraverso il quale lo stimolo ricevuto viene riconosciuto e catalogato ed è pronto per essere archiviato dall’individuo con la giusta etichetta applicata sopra.
Giuseppe pensava che fosse logico riferire le opinioni, il comportamento e le azioni messe in atto, alla interpretazione data da un soggetto a una determinata situazione.
Per questa ragione si immaginava che le differenti percezioni udite all’uscita del cinema si sarebbero tramutate in giudizi definitivi. E come tali sarebbero stati probabilmente diffusi da quei soggetti all’interno dei loro gruppi di riferimento (amici, colleghi, parenti, ecc.), senza un ulteriore approfondimento sul perché il film avesse suscitato in loro quelle impressioni.
Queste considerazioni indussero Giuseppe a riflettere sul fatto che lui stesso stesse facendo valutazioni sulla scorta di sue sensazioni e percezioni, relative a quanto ascoltato casualmente. Si rese conto che con i suoi pensieri stava alimentando una sua realtà soggettiva, non basata quindi su dati e informazioni fattuali, caratteristici invece della realtà oggettiva.
Realtà soggettiva e oggettiva
Tutto ciò gli evidenziava la presenza continua della soggettività in ogni istante del suo quotidiano e l’influenza che questa aveva avuto (e continuava ad avere) sui suoi pensieri e sulle sue decisioni. A volte queste erano state prese al momento, in sincronia con le percezioni/impressioni/intuizioni avute in un particolare contesto.
Convenne che nella maggior parte dei casi si era trattato di decisioni riguardanti situazioni banali, con conseguenze quasi nulle anche in presenza di errori.
In situazioni di grande complessità, il tempo di analisi era stato invece lungo, e la verifica di fatti, informazioni e dati molto più approfondita. In questi casi, data la complessità e il numero di variabili in gioco non si era fermato alle impressioni e all’intuito (tipici della soggettività), ma aveva ricercato la realtà oggettiva delle cose (vale a dire l’insieme di tutto ciò che è reale, basato quindi su fatti e prove) per farsi una opinione più solida e quindi prendere decisioni probanti.
Tuttavia, questo stato può essere difficile da raggiungere perché tutti abbiamo le nostre esperienze, credenze e valori che influenzano il modo in cui percepiamo i dati e le informazioni e prendiamo decisioni. In effetti, l’oggettività è spesso vista come un ideale piuttosto che una realtà, in quanto è quasi impossibile rimuovere completamente tutti i pregiudizi e le emozioni che determinano la realtà soggettiva.
Un pensiero avvalorato dallo studio di un team di ricercatori della Johns Hopkins University dopo una serie di esperimenti descritti sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Il primo autore dello studio, Jorge Morales, aveva infatti affermato: «Il nostro punto di vista soggettivo sul mondo resta sempre con noi. Anche quando proviamo a percepire il mondo come è realmente, non possiamo scartare completamente la nostra prospettiva».
Giuseppe non era sorpreso da questa affermazione. Aveva già sentito parlare di soggettività anche nella scienza, un campo nel quale dati e informazioni probanti, che rappresentano le leggi universali della natura, dovrebbero essere una base oggettiva e condivisa da tutti. Quindi utile alla nostra comprensione della realtà.
Ebbene, anche in questo campo la nostra percezione e la nostra accettazione di questi dati possono variare in base alle convinzioni personali e alle influenze culturali, quindi alla soggettività delle persone.
Pensiamo ad esempio al fenomeno dei terrapiattisti, che sostengono ci sia una cospirazione mondiale che, come nel film Matrix, ci fa vivere una realtà che non esiste ed è frutto di manipolazioni. È inutile portare prove scientifiche, perché i terrapiattisti possono anche credere in alcune prove, ma al tempo stesso conservare le loro pseudo-credenze.
Anche nei dibattiti riguardanti il cambiamento climatico ci sono persone più inclini ad accettare le prove scientifiche, mentre altre risultano più propense a negarle, a causa di convinzioni soggettive o interessi economici.
In ogni caso era chiaro a Giuseppe che affidarsi alla sola intuizione non era certo la soluzione migliore per risolvere situazioni complicate nella vita privata e professionale. Era necessario darsi il tempo per raccogliere dati e informazioni e riflettere su di essi prima di decidere.
Ad esempio era stato questo il suo comportamento in occasione dell’acquisto della sua prima casa. Ne aveva vista una che aveva immediatamente classificato come ideale, ma a seguito di riflessioni e analisi più approfondite era poi risultata ultima nella classifica delle alternative che aveva elaborato. Se avesse seguito la prima intuizione, le conseguenze sarebbero state molto negative.
Soggettività e management
È facile comprendere che chiunque abbia responsabilità manageriali porta il proprio modo di essere (valori, competenze, personalità) nella quotidianità lavorativa.
La prima cosa che viene richiesta a questa persona è quella di comprendere il ruolo che le è stato assegnato, cogliere i valori aziendali e rappresentarli nelle sue attività quotidiane attraverso comportamenti con essi coerenti. Ebbene, questi ultimi sono conseguenza della realtà che ci rappresentiamo e che in definitiva guida le nostre scelte.
Se la realtà che ci rappresentiamo è quella derivata unicamente dalle percezioni, potremmo ricavarne una visione distorta o falsata di ciò che stiamo considerando e a non riconoscere pienamente opportunità o minacce ad essa associate.
Molto spesso ciò è provocato dalla mancanza (inconsapevole o volontaria) di attenzione, dovuta a una serie di fattori. Ad esempio:
- Vincoli di tempo: in alcune situazioni, potrebbero esserci vincoli di tempo che rendono difficile raccogliere tutte le informazioni necessarie per formare, per quanto possibile, una opinione oggettiva e prendere le decisioni conseguenti. Senza contare che il poco tempo a disposizione è una delle cause più comuni che determina l’inibizione della capacità di ascolto attivo verso gli altri e quindi il venir meno dello sforzo intenzionale per capire ciò che ci viene detto realmente. In questa situazione siamo certamente in grado di sentire, ma non di ascoltare i nostri interlocutori con l’attenzione, l’empatia e l’intelligenza che sarebbero necessarie.
- Informazioni limitate: a volte, potremmo non avere accesso a tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno per prendere una decisione oggettiva o risolvere un problema in modo efficace. Ciò può portare a fare affidamento su ipotesi o congetture, che possono ampliare la soggettività nel processo.
- Pregiudizi ed emozioni personali: i nostri pregiudizi ed emozioni personali possono offuscare il nostro giudizio e influenzare il nostro processo decisionale. Ad esempio, se abbiamo un forte legame emotivo a una soluzione particolare, potremmo avere meno probabilità di prendere in considerazione in modo oggettivo altre opzioni.
- Dinamica di gruppo: quando si lavora in un gruppo, può essere difficile sviluppare l’oggettività poiché tutti possono avere opinioni e pregiudizi diversi.
CONCLUSIONE
In generale, la maggior parte di noi non è pienamente cosciente che la propria esperienza percettiva è una costruzione attiva fatta dalla nostra mente, e non è un riflesso oggettivo di ciò che esiste nel mondo esterno.
A questo proposito, Daniel Kahneman (*) affermava: «Il mondo dentro la nostra testa non è una replica precisa della realtà; le nostre aspettative riguardo alla fondatezza e frequenza degli eventi sono distorte dalla quantità e dall’intensità emozionale dei messaggi cui siamo esposti».
Ciò è particolarmente vero quando si tratta di esperienze soggettive (nel nostro caso la visione di un film), in cui le nostre credenze, atteggiamenti e valori personali possono svolgere un ruolo determinante nel formare una opinione.
Ebbene, comprendere il ruolo della percezione e gli effetti creati dalla soggettività (tra cui la possibile distorsione della realtà) è il primo passo necessario per iniziare a capire come stanno realmente le cose. Ciò è ancora più importante in un’epoca in cui tutto corre veloce, con una frenesia inarrestabile che a volte ci induce a credere nella cosa più semplice, cioè ritenere vero il “sentito dire” e assumere per giusto ciò che fa più comodo.
Comunque, in ogni situazione (semplice o complessa che sia) ci sono modi per approfondire, per quanto possibile, la conoscenza e la comprensione di ciò che si ha di fronte (cose, situazioni, persone), così da ridurre la percentuale di soggettività nelle nostre percezioni, giudizi e di conseguenza nelle decisioni. Ad esempio:
- Raccogliere le informazioni: assicurarsi di avere tutte le informazioni pertinenti prima di dare un giudizio o prendere una posizione/decisione. Ciò può includere la ricerca di prospettive diverse e la considerazione di tutte le eventuali opzioni possibili.
- Essere consapevoli dei propri pregiudizi: prendersi del tempo per riflettere sulle proprie opinioni e sui propri valori e valutare se siano basati su prove concrete o su preconcetti. Chiedersi ad esempio perché si ha una certa posizione e se ci sono prove o ragionamenti logici per supportarla.
- Utilizzare una metodologia: usare una matrice decisionale o un quadro di risoluzione dei problemi, può aiutare a ridurre la soggettività e garantire che vengano considerati tutti i fattori rilevanti.
- Richiedere un feedback: cercare punti di vista alternativi da altre persone, le quali potrebbero avere background ed esperienze diverse, allo scopo di sfidare i propri presupposti.
L’immagine che apre questo articolo è una tavola di Marcello Morandini esposta al MART di Rovereto (che ne consente la libera riproduzione): secondo voi è piatta o è in rilievo?
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(*) Daniel Kahneman (1934-2024): è stato uno psicologo israeliano, vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’economia nel 2002 «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza».
La sua teoria del “Doppio Sistema di pensiero”, sottolinea che la mente umana esegue due tipologie di pensiero: intuitivo e razionale (D.Kahneman & P.Egan, 2011). Nel quotidiano le due tipologie di pensiero sono sempre attive: il pensiero intuitivo a pieno regime, mentre il pensiero razionale in modalità di minimo sforzo.
Il pensiero intuitivo è veloce, automatico, inconsapevole, emozionale, sempre presente e molto impulsivo. Esso tende a rispondere velocemente alle domande più facili, ma essendo di tipo emozionale presenta una scarsa comprensione della logica. In circostanze specifiche, complicate o nel caso di predizioni a lungo termine, può quindi essere soggetto a errori sistematici che possono portare a eventi e situazioni spiacevoli e dannose.
Quando il pensiero intuitivo incontra qualche difficoltà di elaborazione si rivolge al pensiero razionale perché proceda ad un approfondimento. A differenza del primo, quest’ultimo funziona in maniera lenta, sequenziale, faticosa e controllata.
Secondo Kahneman, la maggior parte dei nostri errori di valutazione sono riconducibili ai giudizi elaborati dal pensiero intuitivo, che il pensiero razionale non ha vagliato a sufficienza.