Il 90% di quello che oggi sappiamo sul funzionamento del nostro cervello è stato scoperto negli ultimi vent’anni. I risultati di questi studi sono quasi sempre straordinari ma rimangono spesso ancora confinati, almeno per quanto riguarda l’Italia, nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori in ambito scientifico e clinico.
Ben diversa è la situazione in altre parti d’Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove molti esiti delle ricerche in ambito neuroscientifico stanno fornendo alle imprese ed ai manager ulteriori strumenti per una più efficace gestione delle persone e delle organizzazioni stesse.
In particolare, l’incontro tra le neuroscienze e l’educazione – nelle scuole e nei centri di formazione delle aziende – è già consolidato in alcuni paesi, tra cui ancora una volta soprattutto gli Stati Uniti. La teoria della plasticità del cervello, ovvero la capacità di quest’ultimo di modificarsi a livello funzionale e strutturale a seguito di stimoli esterni, ha ribadito su basi scientifiche la possibilità reale di cambiare e l’importanza del ruolo della formazione per chiunque, a prescindere dall’età anagrafica.
Le stesse neuroscienze hanno però nel contempo evidenziato alcune condizioni necessarie affinché apprendimento e cambiamento possano concretamente realizzarsi.
- La prima condizione è il tempo: per creare nuovi circuiti cerebrali e per rinforzare quelli esistenti serve tempo (almeno venti giorni/un mese) e molta pratica, a dispetto di chi – magari grazie all’apporto della tecnologia – vorrebbe un futuro fatto di apprendimenti veloci e possibilmente divertenti.
- La seconda condizione è la relazione e soprattutto il feedback: non si può cambiare da soli ed è attraverso il feedback che si rafforza l’associazione tra una certa esperienza e determinati circuiti neurali ma anche il nostro sistema previsionale, attraverso tentativi ed errori.
- La terza condizione è l’esperienza corporea: essa è fondamentale nei processi di apprendimento perché il nostro corpo non svolge solo una funzione di mediazione sensoriale ed esecutiva tra cervello e mondo esterno, ma è il dispositivo principale attraverso il quale sviluppiamo apprendimento.
Tre condizioni, egualmente necessarie, affinché si realizzi un vero apprendimento: ce n’è a sufficienza per affermare che le aule di formazione aziendale dovrebbero essere profondamente ripensate, pena il rischio fortissimo di ottenere risultati limitati (ammesso che ci si assuma l’onere di misurarli…).
Per quanto concerne invece il coaching, alla luce delle evidenze neuroscientifiche possiamo affermare che si tratta di uno dei metodi migliori per chi desideri raggiungere obiettivi importanti di cambiamento nella sfera professionale (e perché no, anche personale): tutte e tre le condizioni prima citate ricorrono infatti in un buon coaching dove, accanto alla competenza del coach, vi sia anche una motivazione ed un impegno forte al cambiamento da parte del coachee.
L’auspicio è quindi che nelle aziende possa svilupparsi sempre più questa metodologia, sia attraverso la collaborazione con esperti esterni ma sia anche attraverso esperti interni (non solo della Direzione del Personale!) opportunamente formati, che possano arricchire le proprie competenze e la propria motivazione supportando concretamente qualche collega nel proprio percorso di sviluppo.