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Qualunque manager abbia a cuore i propri collaboratori (e se stesso) non può non considerare il fatto che ciascuno di noi deve fare quotidianamente i conti con uno o più pensieri killer.
Di cosa si tratta?
Molto semplicemente di pensieri che, come i tarli, si infilano dentro di noi ma non riusciamo a capire dove siano, anzi, spesso non ci rendiamo neanche conto della loro esistenza oppure la neghiamo. Nonostante ciò, essi influenzano negativamente il nostro modo di pensare e di agire. Sono quindi killer, di volta in volta, dell’Energia, della Proattività, dell’Autostima, del Pensiero Strategico e di tante altre nostre potenzialità.
Qualche esempio?
- “Non si può fare”.
- “Si è sempre fatto così”.
- “Ho ragione io!”
- “Non cambio idea, altrimenti sembro debole”.
- “Collaborare è solo una perdita di tempo”.
- “Non sono adeguato a questo compito” (sorprendentemente, le persone in gamba a volte sottovalutano le proprie abilità e allo stesso tempo hanno alti standard per quanto riguarda il loro lavoro. Questo atteggiamento risulta essere più debilitante che utile. Il perfezionismo, che diventa pensiero killer, può rallentare le persone nel raggiungimento dei propri obiettivi).
Il buon capo, lo sappiamo, deve essere anche un po’ coach dei propri collaboratori.
Una delle azioni che quindi può attivare, nel colloquio periodico con le sue persone, è quella di aiutare ciascuno ad essere consapevole dell’esistenza dei pensieri killer e più in particolare ad individuare il proprio. Esattamente come gli investigatori fanno con i killer in carne ed ossa -e a volte non è per nulla semplice- ciascuno di noi ha tutto l’interesse a tracciare l’identikit del proprio pensiero killer. E’ in concreto il primo passo per impostare un miglioramento reale della prestazione lavorativa. Una volta individuato il pensiero killer, infatti, il secondo passo è quello di supportare il collaboratore che desidera attivare un percorso di miglioramento. Ciò che è importante sapere (e comunicare al proprio collaboratore) è che il pensiero killer non si può sopprimere, ma è possibile invece imparare a riconoscerlo quando si presenta: accoglierlo serenamente per iniziare a prenderne le distanze, trovando nel contempo un pensiero antidoto che disinneschi la forza del pensiero killer.
Per esempio, se il nostro pensiero killer è: “sono più veloce quando lavoro da solo senza confrontarmi con il mio team”, possiamo richiamare alla mente quelle situazioni in cui il suggerimento/punto di vista differente di un collega è stato importante per ottenere un risultato migliore, o per raggiungerlo più velocemente o evitando una strada sbagliata.
Come per tutte le nuove pratiche sportive serve un po’ di sforzo iniziale, un po’ di allenamento, ma dopo un mese –auspicabilmente con il sostegno del proprio capo- verrà quasi spontaneo riconoscere ed accettare il pensiero killer, bilanciandolo con il pensiero antidoto e recuperando energia e proattività.
Per dirla con il noto pedagogista brasiliano Paulo Freire, “nessuno libera se stesso, nessuno libera l’altro, ci liberiamo insieme”.
Dedico queste riflessioni alla mia valentissima collaboratrice Laura, che ha voluto rivelarmi in un colloquio di lavoro il suo pensiero killer, dimostrandomi la voglia e la capacità di superarlo.
Photo by Diego Ph