Abbiamo utilizzato la Johari Window in un gruppo di professionisti per accrescere la consapevolezza individuale e di gruppo dei comportamenti, strutturando feedback e riflessioni.

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I risultati sono stati notevoli, sia per la soddisfazione personale sia per il miglioramento delle performance, e troverete qui in dettaglio le metodologie utilizzate.

Inizio con un passo indietro, per descrivere questo approccio.

Nel 1955 Josep Luft e Harry Ingham hanno creato un costrutto psicologico noto come Johari Window (dai loro nomi propri). Costrutto che si è diffuso ormai in ogni tipo di letteratura manageriale che, attraverso la validazione di test condotti negli anni successivi, tutt’ora rappresenta uno schema interpretativo attuale per descrivere e osservare le dinamiche interpersonali nei diversi contesti sociali.

Dinamiche che si esprimono agendo l’identità individuale della persona, in un ambito di ruolo (lavorativo, sociale e personale) in modo auto ed etero referenziale e all’interno di dinamiche di gruppo (coppia, piccolo gruppo, gruppo esteso).

I due studiosi, utilizzando il classico piano cartesiano, hanno offerto una lettura semplice e immediata delle variabili in gioco negli ambiti di comunicazione e, più in generale, nelle relazioni interpersonali e intergruppali.

In sintesi se poniamo “noi stessi” (SE’) come caratterizzazione dell’asse delle ordinate e “gli altri” (ALTRI) come caratterizzazione nell’asse delle ascisse e connotando entrambi gli assi con la polarizzazione “meno” (NON NOTO) e “più” (NOTO) si genereranno 4 quadranti descrittivi dell’atteggiamento interpersonale della persona rispetto al gruppo di riferimento.

 

Ecco lo schema della Johari Window di Luft e Ingham, utilizzando il piano cartesiano:

Questo modello riesce a mettere ben in evidenza la complessità degli aspetti relazionali anche in base al punto di vista che si utilizza osservando lo schema.

Se ci riferiamo a noi stessi dobbiamo essere in grado di comprendere che il nostro Sé è spesso protetto da meccanismi di difesa e scelte di discrezionalità personale che ci fanno agire nella modalità Facciata: che è quella dinamica convenzionale per lo più utilizzata in contesti poco familiari in cui i legami sociali sono piuttosto deboli e si tende perciò a proteggere le parti del Sé.

Nella formazione è anche definita area “Privata” nella misura in cui ciascuno di noi ha volontà di condividere o meno con gli altri, anche in base al contesto, comportamenti, tratti personologici ed esperienze personali.

Esiste poi l’area definita Arena  che comunemente è definita “Pubblica” in cui si rende noto ciò che si vuole condividere con gli altri che sono in grado di riconoscere gli aspetti esibiti del Sé.

Esiste poi l’Ignoto, l’inconscio, ciò che governa istintivamente sé ed altri, ma poco accessibile per chiunque.

Infine il Punto Cieco, ovvero quel tratto di Sé significativo che gli altri osservano in noi e che noi stessi non percepiamo perché guidati spesso da un pilota automatico, uno script, un copione, una finzione  che non ci rende consapevoli di alcune nostre caratteristiche percepite, invece, da altri.

Questa è un’area preziosa: è l’area dell’apprendimento, del feedback, del cambiamento e della possibilità di consapevolezza personale.

Lavorando sull’Area Cieca è possibile creare adattamento funzionale, per sé e per gli altri, incoraggiando l’incremento della sicurezza psicologica e la maturazione personale e dei gruppi sociali a cui apparteniamo.

Data l’importanza di questa evidenza, ho avviato da qualche anno una piccola sperimentazione longitudinale che potesse confermare o confutare quanto spesso ciò che pensiamo e attribuiamo a noi stessi in termini di caratteristiche personali, sia disallineato rispetto a quanto percepito dagli altri.

Tutto ciò enfatizzato anche dai piccoli, ma continui cambiamenti che ciascuno di noi, in modo anche inconsapevole, determina in base alla scelta degli obiettivi, all’ambiente e alle sue richieste, alle relazioni che rinforziamo o ai legami che sciogliamo.

Nell’ambito aziendale, occupandomi di formazione manageriale, ho chiesto a 5 giovani seguiti attraverso percorsi di mentorship di mettersi alla prova: descriversi attraverso un test di personalità in un tempo T0 e poi confrontarsi con una nuova descrizione in un tempo T1 (latenza circa 6 mesi).

Nei 6 mesi di percorso, il training individuale sarebbe proseguito con gli obiettivi di potenziamento interno concordati.

A seguire della comparazione già descritta ci sarebbe stato un ulteriore dato: la descrizione del responsabile aziendale del giovane attraverso lo stesso test di personalità (T2).

Parallelamente ho creato un setting analogo per il team di un reparto HR (16 persone): ciascuno avrebbe dovuto descrivere sè stesso (T1g) e si sarebbe poi confrontato con la descrizione del collega (T2g).

I risultati hanno senz’altro confermato il modello di JoHari e anche fatto emergere qualche considerazione ulteriore:

  • su 5 giovani coinvolti tutti hanno modificato la descrizione di sé stessi al termine del potenziamento (T0/T1). questo conferma che la personalità si modifica anche in base ad obiettivi prefissati, stimoli positivi, relazioni costruttive, feedback dall’ambiente;
  • su 21 persone totali coinvolte solo 3 hanno ricevuto una descrizione analoga da parte del collega rispetto al proprio profilo (T1g/T2g); anche a fronte di un profilo analogo, alcuni tratti sono stati descritti con intensità diverse rispetto alla compilazione della persona stessa.

L’area Cieca esiste, ed è in ciascuno di noi: può essere frutto di un’impostazione di ruolo, di una scelta di atteggiamento in base al contesto oppure di una ulteriore prospettiva di potenziamento di noi stessi che da soli non siamo in grado di cogliere.

Se il confronto è all’interno di una cornice costruttiva e condivisa per la persona e il gruppo, è sicuramente una fonte di crescita, aumento del patrimonio culturale e utilità sociale.

Strutturare momenti di confronto aperto con i propri responsabili all’interno di un percorso condiviso è senz’altro un modo per creare, consolidare e incrementare sicurezza psicologica per sé e per il gruppo di appartenenza, creando valore e riduzione di meccanismi e dinamiche disfunzionali.

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Di Sara Di Giamberardino

Psicologa psicoterapeuta adleriana, lavora presso ATM di Milano dal 2005 nella Direzione Formazione Selezione Sviluppo e Organizzazione. Si occupa in particolare di progettare ed erogare interventi di formazione relazionale/ manageriale e di selezione delle figure professionali ricercate per i diversi ruoli aziendali. Collabora come volontaria con Dimensione Animale di Rho.