Quando si pensa alla performance sportiva, si pensa spesso ad una modalità di conseguimento dei risultati che ha molto a che fare con il “gesto atletico”, conseguibile attraverso la cura e la preparazione della forma fisica e con un allenamento costante e mirato sulla persona.
Non è un caso che la modalità più tipica d’intervento su una persona o un team che non “performi” sia, in molti casi, quella di intensificare ancor di più gli allenamenti, ottenendo spesso risultati anche peggiorativi.
Da alcuni anni è entrata nel mondo dello sport, l’idea –non da tutti condivisa- che la performance sia molto influenzata da altre due dimensioni: quella mentale e quella emotiva.
Così come un atleta, a parità di forma fisica ed addestramento può aumentare sensibilmente la performance, a condizione che “alleni” di pari passo la sua mente e le sue emozioni, è altrettanto vero che un blocco improvviso anche in una sola di queste variabili, può rapidamente annullare i frutti di allenamenti intensi e mirati.
A volte far leva su queste variabili è addirittura prioritario laddove non si possa accedere ulteriormente al gesto fisico: per chi abbia letto “Risorgere e vincere”, scritto da Giorgio Nardone insieme ad Aldo Montano e Giovanni Sirovich, nel 2011 commissario tecnico della nazionale di sciabola, risulta avvincente e chiarificatrice l’analisi di come Aldo Montano, leso nei legamenti e impossibilitato a partecipare ai mondiali (a detta dei medici che ne vietavano l’allenamento fisico), riuscì a trionfare a Catania nel 2011, grazie ad un allenamento condotto dal Professor Nardone, quasi esclusivamente sul livello mentale.
D’altra parte di lavoro mentale si parla anche in diversi libri e persino film. Indimenticabile in tal senso, ancorché meno noto di altri, “Tin Cup”, in cui un fantastico Kevin Costner anela a partecipare agli “open” di golf. Una serie di vicende in sequenza hanno però bloccato la sua attitudine naturale. I tentativi della psicologa che lo assiste appaiono inutili ed il campione è in stallo. E’ il suo “caddy”, che ben lo conosce, a riattivare l’attitudine naturale e produrre lo sblocco, con un rituale piuttosto curioso, messo in atto probabilmente in modo del tutto inconsapevole: “Metti le monetine nella tasca sinistra, fai un doppio nodo alla scarpa sinistra, gira la visiera al contrario…..” e con la mente orientata altrove, forse anche un po’ confusa, parte il gran colpo che consente di ascendere la classifica. Lo spostamento dell’attenzione dalla preoccupazione bloccante, libera la mente dal giogo prodotto dal pensiero razionale e riporta il corpo a riprodurre spontaneamente ciò che ha memorizzato e sa far funzionare naturalmente.
Il valore del lavoro mentale ed emotivo, se molto evidente a livello di singolo atleta, si evidenzia a maggior ragione negli sport di team, dove la possibilità di performare è determinata non solo dalle capacità dei singoli ma anche e soprattutto dalle interazioni fra essi, interazioni la cui forza –o la cui debolezza! -è del tutto differente dalla semplice somma delle parti.
La squadra effettua numerose e contemporanee attività professionali ed è un luogo di problem solving oltre che di generazione di performance. Il lavoro di team è una prassi organizzativa che utilizza tutte le capacità delle persone. In gruppo ci si abitua al pensiero collettivo , alla mediazione e alla gestione della conflittualità. Quando l’addestramento al gruppo è completo, il team non si distingue più dalle singole parti ed i costi da sopportare appaiono di gran lunga minori dei vantaggi. Dall’energia che si genera, si moltiplica l’apprendimento e si cresce sempre di più, con modalità “a spirale”
Questo implica che le abilità da sviluppare, non solo tecniche e tattiche, sono anche quelle emotive e relazionali e non riguardano solo i giocatori ma lo staff intero. E’ importante valorizzare il singolo ma anche le sue capacità di interazione, cogliendo di volta in volta non solo le sue abilità ma come esse andranno ad interagire con le abilità degli altri
Ecco perché negli sport di squadra, una specifica competenza nella direzione del lavoro mentale ed emotivo, si è palesata in modo più frequente rispetto agli sport individuali, spesso direttamente “incorporata” nei ruoli degli allenatori stessi.
L’Inter di Mourinho ne fu una prova evidente: la sua strategia di innalzamento della motivazione, basata in grande misura sull’aumento dei momenti di gioco a scapito di quelli di allenamento tradizionale, con un livello essenziale di puro riscaldamento, fu la chiave del successo, altrettanto critica per gli allenatori successivi probabilmente più legati ad un allenamento di stampo tecnico.
Certamente in italia l’ambito che ha più rappresentato il fiore all’occhiello nel lavoro fatto dagli allenatori a sostegno della mente e delle emozioni, è quello del volley.
Il motivo ce lo spiega con lucidità in più di una presentazione, l’attuale head coach della nazionale maschile seniores, Mauro Berruto: “la pallavolo è lo sport in cui il punteggio si muove più rapidamente di tutti. Normalmente l’azione, nella pallavolo maschile, termina in un tempo compreso fra i 7 e i 9 secondi, che lasciano spazio poi a una quindicina di secondi di interruzione prima che parta l’azione successiva.
Molto spesso gli allenatori dedicano tutte le loro attenzioni ad allenare quei 7-8 secondi che assegnano un punto. Ma quel tempo non è che la punta dell’iceberg……”
D’altra parte non meno noti per la loro attenzione al “fattore umano”, sono stati i coach che l’hanno preceduto: figure quali Montali e Velasco, hanno dedicato una rilevante parte del loro tempo allo studio dell’empowerment e dei meccanismi personali di attivazione della motivazione e dello sviluppo del teaming.
E’ solo degli ultimi anni la tendenza a separare la figura dell’allenatore da quella degli “esperti della mente e delle emozioni”, con la generazione di ruoli, oggi un po’ desueti, quali quelli dei “motivatori”, poi sostituiti dai “mental coach” ed ora anche dai “team coach”.
Il “team coaching” è un percorso che conduce alla costituzione del gruppo attraverso la sperimentazione attiva del lavorare insieme, al di là del contesto operativo in cui il lavoro si svolge (quindi anche fuori dal campo di gioco). E’ un potente strumento che fornisce supporto e informazioni (dunque apprendimento) al gruppo, in base a ciò che realmente si verifica (comportamenti e risultati).
E’ finalizzato alla costituzione di un gruppo di lavoro coeso, efficace e in grado di produrre risultati attraverso la valorizzazione di tutte le risorse disponibili e la corretta individuazione dell’obiettivo comune e dei passi necessari per conseguirlo
Nel team coaching il gruppo è parte attiva della sua costituzione e dello sviluppo, attraverso le dinamiche che vive ed i processi che si vanno consolidando
Numerosi sono i vantaggi conseguibili con questo metodo :
- Integrare, attraverso il dialogo, culture, valori ed esperienze differenti.
- Valorizzare le esigenze differenti attraverso l’ascolto reciproco ed il confronto
- Affrontare a livello collettivo, le problematiche individuali, anche con l’aiuto dei colleghi e facendo leva sulle attitudini positive individuali
- Gestire eventuali emozioni “ostacolanti” a vantaggio del miglioramento della performance
- Sostenersi e darsi “chiavi di lettura” incoraggianti nei momenti difficili, anche passando attraverso il confronto acceso e la conflittualità
- Aumentare la capacità di responsabilizzarsi a livello individuale per una maggior responsabilità di gruppo
- Aumentare l’empowerment collettivo e la capacità di risultato tramite integrazione (e non somma).
Il percorso può svolgersi in maniera del tutto orizzontale fra le parti, accedendo a relazioni e processi che prescindono dal ruolo e dalla gerarchia
oppure in modo verticale, prevedendo quindi un percorso (di gran lunga preferibile) che coinvolge al suo interno anche lo staff, fino al presidente
TEAM COACH
Con riferimento al percorso metodologico, per quel che mi riguarda è strettamente collegato agli studi da me effettuati presso lo Strategic Therapy Center di Arezzo, la struttura del Professor Giorgio Nardone che ha ideato e diffuso in Italia e nel mondo, il modello del Problem Solving Strategico
In base a tale modello, un momento cruciale dell’intervento è quello dell’individuazione ed accordo sugli obiettivi ed i risultati attesi, all’interno del team. Significa che deve essere chiaro il punto d’arrivo previsto e misurabile attraverso specifici e dettagliati indicatori di performance, che non si identificano meramente con la vittoria del campionato né delle singole partite ma sono arricchiti da parametri specifici, che possono riferirsi a più variabili, quali la comunicazione, la gestione del clima, l’innalzamento progressivo delle performance collettive ed individuali, la riduzione dei blocchi di performance ecc.
Le strategie vengono poi progettate in base all’obiettivo definito ed adattate e corrette passo per passo, secondo la logica della “ricerca intervento”, tipica delle scienze empiriche.
In base a questa, gli obiettivi vengono frazionati e ad ogni step viene introdotto un piccolo miglioramento, rapidamente verificato, così da poter correggere rapidamente la rotta qualora la strategia non si mostri funzionale . In questo modo non si realizza mai uno scostamento troppo rilevante tra risultato atteso e risultato effettivo, così che la correzione diviene rapidamente attuabile.
Il percorso prevede fasi di lavoro individuale con atleti, particolarmente laddove la prestazione appaia instabile o impedita da blocchi di performance di origine emotiva. L’uso del linguaggio suggestivo e di raffinate tecniche di comunicazione, quale quella denominata Dialogo Strategico, facilitano lo sblocco e la ripetizione della performance, specie nei momenti in cui il gesto atletico efficace, non si produca più in modo spontaneo, per effetto di meccanismi quali la paura (temo che potrei perdere punti con le mie azioni e quindi mi paralizzo) o la credenza (ho un’idea precisa di come si deve fare e nonostante non funzioni, la mia credenza mi impedisce di cambiare strada)
Di norma durante tutto il campionato, il team coach partecipa alle riunioni di staff, è parte dello staff stesso e contribuisce alla presa di decisione su iniziative che riguardino il funzionamento e la gestione del team, comprese le azioni disciplinari e quelle indirizzate a ridare motivazione a fronte di performance calanti
Il Presidente usufruisce di un percorso di coaching dedicato, utile ad indirizzare lo staff e favorire una delega ben monitorata
Bibliografia
- Cagnoni Federica, Milanese Roberta, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Ed. Ponte alle Grazie, 2009
- Magi Gianluca, “I 36 stratagemmi”, Ed. Il punto d’incontro, 2007
- Marchetti Mauro, “Allenatore Emotivo”, Ed. Progetto Cultura 2003, 2009
- Marchetti Mauro, “Volley & Zen”, Ed. Progetto Cultura 2003, 2004
- Nardone Giorgio, Salvini Alessandro, “ Il dialogo strategico”, Ed. Ponte alle Grazie 2004
- Nardone Giorgio, “Problem solving strategico da tasca”, Ed. Ponte alle Grazie 2009
- Nardone Giorgio, Aldo Montano, Giovanni Sirovich “Risorgere e vincere”, Ed. Ponte alle Grazie 2012
- Nardone Giorgio, “Cavalcare la propria tigre”, Ed. Ponte alle Grazie 2003
- Topping Wayne W., “ Stress release” Bellingham, Washington, Topping International Institute, 1985
- Watzlawick Paul, Weakland John H. Fisch Richard “Change. La formazione e la soluzione dei problemi”, Ed. Astrolabio 1974