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riproponiamo volentieri questa intervista a Marisa Muzio pubblicata sul numero 66 di QI Questioni e Idee. CoachingZone
D. Nella sua attività di psicologa si muove tra il campo della psicologia dello sport e delle organizzazioni e i fondamenti dei suoi progetti di consulenza e formativi sono la ricerca applicata e il Knowledge Management. Ci parla del parallelismo tra sport e azienda?
R. Prendiamo uno sport a caso: il golf. Vi è mai capitato di vedere un campione in campo? Sul putting green ‒quel prato verde rasatissimo‒ entrano in gioco ansia, stress, concentrazione. Se poi la palla non va in buca, la parola d’ordine è resilienza. Non è forse quanto avvenga in azienda? Di fronte ad un progetto: idearlo, realizzarlo, presentarlo e, magari, non vederlo approvato.
Ancora: trasferiamo, nel mondo del lavoro, la capacità del golfista di programmare una strategia, ragionare per obiettivi -una buca dopo l’altra‒ e, se necessario, cambiare i piani in corsa, per un colpo di vento, o per un bunker: un ostacolo di sabbia. Anche nel quotidiano professionale, dietro l’angolo imprevisti ed eventi non programmabili.
E i temi del teamworking e della leadership negli sport di squadra? O l’engagement? Motivare una squadra d’alto livello non è molto differente di quanto si renda necessario in ogni contesto lavorativo. L’eccellenza passa da qui: wellbeing la parola chiave.
I campioni dello sport sono all’avanguardia: oggi essere un talento non basta per raggiungere i risultati. Ricerca applicata e sperimentazione continua sono le chiavi del successo. È il caso del concetto di flow, che ho avvicinato per la prima volta in un campo di basket vent’anni fa in Florida. Gli scout selezionavano così gli atleti di talento.
Il flow studiato a partire dagli settanta da Mihaly Csikszentmihalyi, rappresenta una condizione psico-fisica positiva, caratterizzata da concentrazione, controllo, coinvolgimento totale, chiarezza di obiettivi e motivazione intrinseca.
La Positive psychology l’ha approfondito: Flow for Excellence® nasce da qui.
D. Ci può spiegare meglio in cosa consiste la sua attività?
R. Guardiamoci intorno: robotizzazione, intelligenza artificiale, algoritmi, velocità, Industria 4.0 sono la sfida di oggi. Si è vincenti solo nel continuo aggiornamento: solo ricerca applicata, network multiculturali e multiprofessionali possono permetterci di stare al passo.
Sono questi i presupposti della mia appassionante e sempre nuova vita professionale: preparazione mentale di campioni sportivi e interventi consulenziali e formativi in ambito aziendale.
D. La formazione esperienziale, basata sul concetto di apprendimento tramite l’esperienza, è diventata sempre più una risposta alle esigenze formative aziendali. Secondo lei, in che modo questa metodologia formativa si sta evolvendo negli ultimi anni?
R. Negli anni novanta, il mondo del lavoro ha iniziato ad interessarsi a quello dei campioni dello sport. Immediato il parallelismo: atleta e manager, squadra e business unit, sono realtà affini, in cui il fattore umano e la capacità di sfruttarne le potenzialità rappresentano l’elemento distintivo per raggiungere i risultati.
Inizialmente si trattava di testimonianze di campioni, rese ancor più coinvolgenti per il ricorso a immagini e a video di forte impatto emozionale.
Poi uno sguardo oltre oceano – la formazione esperienziale nasce lì ‒ e la sfida di proporre alle organizzazioni la possibiltà di intervenire sui comportamenti, di agire sui processi di cambiamento culturale, sulle capacità di valorizzare e di motivare i collaboratori, di innovare.
Nasce cosi la formazione esperienziale: un apprendimento basato sul fare.
Live the Flow si presenta come una metodologia formativa complessa. L’esperienza sportiva, proposta in sinergia da campioni e consulenti aziendali, porta i partecipanti oltre la zona di comfort. Ne migliora la consapevolezza, favorisce una rielaborazione personale e confronto nel gruppo.
Live the Flow prevede:
- attività in aula: testimonianze, case history, analisi di audiovisivi, lavori di gruppo, role-playing.
- attività sportive in campo: con la scelta di discipline sportive individuali, o di squadra.
- esperienze guidate di mental training: presa di coscienza corporea, rilassamento, visualizzazione, self talk.
La scelta della disciplina deriva da un confronto con la committenza; è condizionata dalla numerosità dei gruppi, da stagionalità e budget a disposizione. Ciò che fa la differenza non è il tipo di attività proposta, ma la capacità di testimonial e formatori di favorire traslazioni e apprendimenti.
Un’altra proposta per il mondo del lavoro: il coaching by action, che rappresenta un modo nuovo di intendere il coaching in ambito aziendale. Il termine coaching -traslato dal mondo dello sport- indica un processo consulenziale volto a favorire una sempre più ampia e consapevole visione manageriale dell’attività professionale.
Non diversamente dal mental training nello sport, il coachee acquisisce, attraverso un percorso mirato, maggiore consapevolezza e successiva padronanza dei punti di forza e delle criticità su cui intervenire. A livello individuale e nel contesto organizzativo.
Nel coaching by action sono previste iniziali sessioni di pratica sportiva in codocenza ‒trainer sportivo e consulente– volta a facilitare, fuori dalla zona di comfort, la relazione tra coach e coachee.
La scelta della disciplina varia in funzione delle singole esigenze. Il golf, la scherma, la subacquea e il reining (disciplina equestre) sono quelle maggiormente impiegate.
D. A partire dal 2014, lei sta svolgendo un’indagine di consulenza e formazione per l’azienda Ilma Plastica. Ci può parlare di che intervento si tratta?
R. La decisione di intraprendere un percorso quale il progetto Innovare, crescere, competere deriva dal bisogno, avvertito da Proprietà e Dirigenza, di migliorare, da un lato i processi aziendali, cambiamenti divenuti necessari per stare al passo con le evoluzioni tecnologiche e la forte competitività del mercato.
D. Quali sono state le esigenze che hanno portato l’azienda a richiedere questo tipo di intervento? E come sono stati formulati gli obiettivi da raggiungere?
R. Mirate le richieste: promuovere consapevolezza dei singoli e dei team, primo passo per lo sviluppo di atteggiamenti e comportamenti improntati a positività: le premesse del cambiamento. Questo, in particolare, a fronte della denuncia in alcune unit di criticità imputabili a scarsa motivazione e inadeguato coinvolgimento negli obiettivi comuni aziendali.
Iniziali interviste e focus group con testimoni privilegiati hanno suggerito la definizione di un articolato piano di interventi. Andava innanzi tutto alimentata la fiducia: da qui la scelta di ricorrere ad attività improntate al learning by doing. Parole chiave: adattamento, proattività, resilienza.
La scelta è ricaduta sul Team Cooking, perché ritenuto funzionale alla realtà dell’azienda per logistica, investimento di tempo e risorse economiche a disposizione. All’iniziativia hanno partecipato 70 dipendenti afferenti alle diverse unit e trasversali, per ruolo in azienda.
Le positive risposte di interesse dei partecipanti, il miglior clima nei diversi reparti e nelle differenti funzioni ‒ progressivamente orientato al cambiamento ‒ hanno suggerito le fasi successive. Un intervento mirato alle prime linee, volto ad implementarne le competenze.
Focus sul coraggio, che la Positive Psychology definisce un “dinamismo psichico fondato sulla volontà di raggiungere i propri obiettivi, basato su consapevolezza e padronanza di sé”.
Si è pensato ad un piano di lavoro che vedesse i dirigenti protagonisti in aula, a dar valore all’iniziativa e nel contempo per promuoverne la leadership.
D. Per quanto riguarda lo strumento utilizzato, il Positivity Test (PT), primo test italiano sull’orientamento positivo: in che modo è stato integrato con gli altri strumenti? Qual è stata la sua esperienza con questo test?
R. Nelle training class appariva –quale elemento ricorrente– il tema della non fiducia verso gli altri.
Da qui la scelta del PT e di uno strumento specifico per la rilevazione del flow (Flow State Scale) –entrambi di facile utilizzo e comprensione‒ capaci di rispondere all’esigenza di promuovere fiducia, wellbeing e funzionamento ottimale.
L’integrazione tra i due strumenti ha permesso, da un lato ‒attraverso il PT‒ di oggettivare le criticità, dall’altro, i profili individuali ‒messi in luce dalle 9 dimensioni della Flow Sate Scale‒ hanno suggerito come promuovere apertura verso l’altro e gli altri.
D. Come viene rilevato il flow?
R. Due parole sulla Flow State Scale(FSS), (Muzio 2004; Muzio & Meda, 2010; Muzio, Riva e Argenton, 2012) una scala costituita da 36 Item in cui il flow viene declinato in 9 dimensioni fondamentali. Messa a punto dai ricercatori dell’University of Queensland (Brisbane, Australia), la FSS è stata validata in lingua italiana da un gruppo di lavoro da me coordinato, afferente all’Università degli Studi di Milano, all’Università di Milano-Bicocca e all’Università Cattolica di Milano. L’attività di ricerca è stata svolta dal 1998 al 2012.
La multidimensionalità della valutazione del PT e la messa in luce del peso delle 9 dimensioni favorisce la possibilità di riflettere su positività e orientamento positivo, predisponendo ad un successivo sviluppo diaction plan consapevoli e mirati.
Inoltre, tenendo conto dei profili emersi attraverso la FSS , si è maggiormente in grado di orientare lo stile di gestione delle persone, con conseguenti maggior fiducia e adeguatezza nelle richieste di compito.
D. In conclusione, quali sono stati i risultati raggiunti e i benefici apportati all’azienda?
R. Il percorso formativo è andato progressivamente a trasformarsi in un confronto consulenziale tuttora in essere.
Il nostro lavoro ha di sicuro influito sul benessere dei dipendenti, favorito la sintonizzazione tra i reparti, migliorando senso d’appartenenza e vision.
L’ intervento ha evidenziato come il processo di cambiamento in atto sia avvertito dai più. Oggi si avverte maggiormente l’esigenza di comunicare, di ricercare spazi d’ascolto e di confronto, la volontà di ridisegnare emozioni negative di sfiducia in disponibilità ad affidarsi, alla ricerca di soluzioni concrete e operative.
Non sono emerse reali difficoltà o situazioni preclusive e il bilancio è estremamente positivo per la creazione di condivisione, l’apertura alla fiducia e il miglioramento del clima complessivo, situazioni significativamente sostenute all’interno dell’azienda da Alessandra Caraffini –responsabile HR‒ in grado di leggere i bisogni, di orientare programmazione e pianificazione, supportando l’attività nelle diverse fasi.
Infine, un ultimo elemento a conferma della validità dell’impianto formativo: il progetto è risultato vincitore della Prima Edizione del Premio Adriano Olivetti, Sezione Metodologica, nel 2016, per le sue caratteristiche innovative, con particolare riferimento al concetto di flow.
E pensando a quel campo da golf, da cui ci siamo mossi, se anche questa vittoria risultasse non diversa dalla situazione di hole in one -in buca in un sol colpo‒ se la fortuna ci è venuta in soccorso, di sicuro passione e professionalità mi hanno accompagnato fin qui.
Bibliografia
Muzio M., ( a cura di) (2004). Sport: Flow e prestazione eccellente: dai modelli teorici all’applicazione sul campo. Franco Angeli, Milano.
Muzio M., Meda S. (2010). 30 Sport per raggiungere il tuo Flow. Red, Milano.
Muzio M, Riva G., Argenton L. (2012). Flow, benessere e prestazione eccellente. Dai modelli teorici alle applicazioni nello sport e in azienda. Franco Angeli, Milano.