Di Intelligenza Artificiale si parla tanto, la si teme e demonizza, la si auspica e incoraggia. Soprattutto, la maggior parte di noi non ne sa abbastanza per formarsi un’opinione…

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Se chiedessimo a 100 informatici che cos’è l’Intelligenza Artificiale (IA), potremmo verosimilmente ottenere 100 risposte diverse. In ogni caso, con buona approssimazione, possiamo definirla come l’insieme dei sistemi progettati dall’essere umano in forma di software (ed eventualmente hardware) che agiscono nella dimensione fisica o digitale e che, dato un obiettivo complesso, percepiscono il proprio ambiente attraverso l’acquisizione di dati, strutturati o meno, interpretandoli e ragionando sulla conoscenza o elaborando le informazioni derivate da questi, decidendo le migliori azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo dato.

Tali sistemi possono anche adattare il loro comportamento analizzando gli effetti che le loro azioni precedenti hanno avuto sull’ambiente (da “Intelligenza artificiale” a cura di S. Quintarelli).

Se il più antico robot risale addirittura (lo sapevate?) al III secolo a.c. (inventato da Filone di Bisanzio), è indubbio che la rivoluzione digitale sia arrivata molto rapidamente e richieda un adeguamento altrettanto rapido, da parte dei singoli come delle organizzazioni.

Ciò che ha reso l’Intelligenza Artificiale una tecnologia finalmente fruibile è la disponibilità contemporanea di una notevole potenza di calcolo, applicata a una vasta quantità di dati.

Un esempio? GoogleMaps è in grado di dirci se in un determinato tratto di strada il traffico sia scorrevole o congestionato verificando quanto velocemente cambi la posizione degli smartphone presenti in quella zona. Ciò consente al sistema, se necessario, di suggerirci percorsi alternativi che si adattano alla situazione reale del traffico. Lo abbiamo sperimentato quasi tutti come un servizio estremamente utile. Peccato però che nel 2019 (primo caso noto di questo tipo), un impiegato di una grossa azienda americana sia stato spinto ad effettuare un bonifico di 240.000 dollari a un fornitore, con una richiesta fatta telefonicamente dall’Amministratore Delegato (così pareva), seguendo una normale procedura aziendale. In questo caso la voce era stata riprodotta con l’Intelligenza Artificiale, in modo da simulare il tono di voce del titolare. In parole semplici, una truffa colossale, svolta con la più moderna tecnologia.

Luci e ombre: nulla di nuovo in fondo, ma è bene comprendere potenzialità e rischi di tecnologie con cui già oggi entriamo in contatto, spesso senza saperlo.

Il fatto che i dati che alimentano l’Intelligenza Artificiale portino con sé tutte le sfumature ed i pregiudizi della società che descrivono, deve far riflettere. Sappiamo ad esempio che purtroppo ancora oggi, mediamente, le donne ricevono stipendi inferiori agli uomini, a parità di tutti gli altri fattori.  Se quindi per decidere la retribuzione del personale usassimo un’Intelligenza Artificiale alimentata con i dati degli stipendi, il software non potrebbe fare altro che predire per le donne un livello salariale più basso rispetto a quello degli uomini, perché questo è ciò che apprende dalle correlazioni che trova nei dati. Di fatto, perciò, cristallizzerebbe un divario salariale già esistente. Da qui l’importanza di controllare con estrema accuratezza il processo di formazione e ottenimento del dato (c’è un settore che si occupa di studiare i bias esistenti nei dati che si chiama “Algorithmic Fairness”, fortunatamente ci sono tecniche che possono almeno mitigare quest’effetto), per essere certi che sia corretto e possa essere usato per trovare correlazioni utili (gli esperti parlano di “garbage in – garbage out” ovvero “spazzatura in entrata produce spazzatura in uscita”).

Nascono dunque professionalità nuove come lo scienziato dei dati  e l’ ingegnere dei dati, sempre più ricercati (e ben pagati!) e che tra le loro competenze forti devono obbligatoriamente avere quella del lavoro in team.

Perché un’azienda dovrebbe utilizzare l’Intelligenza Artificiale?

E’ stato dimostrato che le imprese che usano i dati in maniera intelligente possono raggiungere un vantaggio competitivo anche del 5-6% medio in termini di produttività. Questo perché l’IA consente di accelerare i tempi di realizzazione dei risultati operativi e di business, di ridurre i costi, di comprendere meglio la complessità e di potenziare l’innovazione.

E’ vero che l’Intelligenza Artificiale limiterà fortemente il numero dei lavoratori?

Vi sono molte discussioni su questo tema, ma l’ipotesi prevalente è quella che stima che alcuni lavori (soprattutto quelli caratterizzati da elevata routine, ad esempio gli operai non specializzati) verranno certamente eliminati, ma molti altri verranno creati mentre quelli caratterizzati da elevata complessità muteranno. Di sicuro cambierà la qualità del lavoro, ed è di questo che dovremmo preoccuparci maggiormente. La rivoluzione digitale spinta dall’Intelligenza Artificiale più che una forza distruttiva, come qualcuno ama descriverla, è e sarà una potentissima forza trasformativa. Potrà però risultare distruttiva per chi la ignorerà, continuando a fare le cose come nei “bei tempi andati”, perché “si è sempre fatto così”.

Inutile dire che in questo scenario la formazione (che pure sarà certamente trasformata dall’IA) potrà giocare un ruolo centrale, mettendo le persone in grado di compiere attività diverse, di svolgere funzioni meno ripetitive e più complesse.

Amazon, ad esempio, si è recentemente impegnata a spendere 700 milioni di dollari, una cifra enorme, per la formazione, per assicurarsi che i suoi dipendenti abbiano le competenze necessarie per avere successo in un mercato del lavoro sempre più digitale.

Shell ha creato un percorso (diploma breve di sei mesi) in IA per i suoi laureati.

Unilever, con un approccio diverso, invece di cercare di prevedere quali lavori cambieranno supporta i dipendenti che vogliono cambiare/arricchire la propria mansione descrivendo percorsi di carriera alternativi. In sintesi, aiuta le proprie persone a individuare le professioni su cui puntare per il futuro e le competenze necessarie per raggiungerle, anche attraverso percorsi di formazione mirati.

 

Nel prossimo articolo entreremo nelle aziende che già oggi utilizzano l’IA, per capire nel concreto quali sono le potenzialità di questa nuova tecnologia.

 

photo by studio Cottonbro

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Di Attilio Leoni

Opera attualmente come manager in ambito commerciale presso l'Azienda Trasporti Milanesi Spa dopo aver maturato una lunga esperienza come responsabile della formazione e più di recente nelle Operations. In precedenza è stato responsabile della selezione e dello sviluppo, si è occupato di gestione del personale e di comunicazione interna. Ha curato nel 2015 con M.E. Salati la pubblicazione del libro "Neuroscienze e Management" e nel 2021 del libro "Neuroscienze e sviluppo (del) personale", scrive inoltre articoli di management su periodici e siti online. In collaborazione con l'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo e con l'Università Statale di Milano ha svolto attività di archeologo e papirologo.